Ragusa – Venticinque mila capi bovini da latte, centocinquanta milioni di litri di latte annui prodotti (60% del totale siciliano), presenza sul territorio di alcune tra le razze più nobili e pregiate del panorama zootecnico nazionale: la provincia di Ragusa rappresenta, a dire di tutti, il fiore all’occhiello della zootecnia siciliana. Questi primati, tuttavia, non sarebbero possibili senza la presenza di lavoratori immigrati. In tale settore, infatti, circa un’azienda su due utilizza manodopera straniera, costituita prevalentemente, se non esclusivamente, da indiani; la restante parte, invece, è rappresentata da tunisini e rumeni. La presenza della nazionalità indiana nel territorio costituisce un fenomeno relativamente nuovo, iniziato circa 10 anni fa, ma in continua evoluzione. Proprio per questo motivo, una stima della consistenza di tale componente in provincia è difficile da effettuare: il dato fornito dagli archivi INPS, INAIL e ISTAT, infatti, si aggira intorno alle 100 unità presenti, ma è un’informazione che risulta essere fortemente sottodimensionata rispetto a quanto restituitoci da alcuni allevatori e da cittadini indiani che abbiamo ascoltato. Per questi testimoni privilegiati, la presenza di cittadini provenienti dall’India supera sicuramente le 500 unità. Quello che ci racconta Narayan Singh, impiegato ormai da 5 anni in un’azienda zootecnica della Provincia di Ragusa, è un lavoro duro, ma eseguito con passione: “Di solito noi indiani ci occupiamo solamente del governo della stalla e della mungitura, mentre i tunisini ed i rumeni anche di operazioni colturali varie, inerenti la foraggicoltura.” Rispetto al lavoro in serra, altro settore densamente popolato di lavoratori stranieri, la peculiarità della zootecnia sta nella presenza degli animali come tramite importante e che richiede dedizione; il background culturale della componente indiana si sposa perfettamente con tale necessità. Una caratteristica comune a tutti gli indiani impiegati nella zootecnia è la religione sikh, come dimostrato dal cognome Singh aggiunto ai loro nomi e cognomi originari. Da una ricerca svolta dall’INEA sul lavoro in zootecnia e da interviste con testimoni privilegiati, pare che il lavoro nero nel settore non supererebbe il 5%, mentre il grigio costituirebbe la stragrande maggioranza. Con il termine grigio si intende un contratto di lavoro regolare, ma con indicato un periodo di lavoro ed un orario inferiore rispetto a quello effettivo. Sebbene, infatti, quasi la totalità dei contratti (bracciante agricolo) sia di tipo stagionale, per questo tipo di impiego la presenza del lavoratore è imprescindibile per 365 giorni l’anno. Il salario medio giornaliero, non sindacale, si aggira intorno ai 20 euro. Un dato importante dal punto di vista sociale è la differenza tra le condizioni di vita – comprese le motivazioni di arrivo in Italia – della componente indiana, rispetto a quelle degli altri stranieri impiegati soprattutto nella serricoltura. In base a quanto riferitoci, il rapporto con i datori di lavoro e con la gente del luogo, l’alloggio (spesso interno all’azienda e in condizioni dignitose) e il grado di consapevolezza dei propri diritti risulterebbero essere migliori rispetto a quello dei lavoratori agricoli maghrebini o est europei nelle serre, dove la presenza di varie nazionalità ha dato vita a veri e propri scontri etnici, tutti a discapito della dignità del lavoro, che viene sfruttato senza mezzi termini. Questa situazione generale di monopolio nel comparto zootecnico comporta, tuttavia, che la comunità indiana sia poco visibile sul territorio. “Il nostro lavoro – continua Narayan Singh – richiede un impegno per tutto il giorno e per tutti i giorni, perché le mucche non conoscono le feste o le domeniche e quindi non c’è il tempo per uscire o per divertirsi. Poi noi siamo tutti uomini e veniamo qui per mandare i soldi alle nostre famiglie e non pensiamo a molto altro”. Se gli indiani, quindi, preferiscono pensare solo al lavoro, nel clima di allerta che oggi contraddistingue il ragionamento dei cittadini italiani sulla presenza dei migranti, sarebbe importante riflettere sul fatto che buona parte della ricchezza di questa provincia passa anche dalle mani pazienti dei cittadini che provengono dalla lontana India. (Vincenzo La Monica – Migrantes Ragusa)