Milano – Il peggiore naufragio di sempre non sarebbe stato una disgrazia: 500 persone uccise dagli scafisti che avrebbero fatto affondare il barcone per rappresaglia contro una protesta inscenata dai profughi. Lo hanno raccontato alcuni sopravvissuti, ascoltati dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni. Parole che hanno convinto la procura di Catania ad aprire un’inchiesta affidata al Servizio centrale operativo della polizia. Un’ecatombe con altri 250 morti al largo delle coste libiche, in altri tre naufragi avvenuti tra venerdì e domenica notte. In totale, quasi 800 dispersi. L’OIM ha citato le testimonianze di due palestinesi salvati da una nave mercantile dopo un giorno e mezzo in balia delle acque. Entrambi hanno raccontato di essere partiti da Damietta, in Egitto, lo scorso 6 settembre e di aver cambiato diverse volte imbarcazione durante il viaggio verso l’Europa. Secondo i sopravvissuti, gli ‘scafisti’, che si trovavano su un altro natante, avrebbero cercato di convincere i 500 migranti a salire su una nave più piccola e di fronte al loro rifiuto non hanno esitato a speronare e far rovesciare il peschereccio. I due superstiti, trasportati a Pozzallo (Ragusa), hanno riferito che a bordo c’erano circa 500 profughi di nazionalità siriana, palestinese, egiziana e sudanese. Altri nove sopravvissuti al naufragio sono stati soccorsi da navi greche e maltesi, ha riferito a Flavio Di Giacomo, portavoce dell’OIM in Italia. Anche questi ultimi avrebbero confermato il racconto dei palestinesi. La maggior parte delle 500 persone sono cadute in mare e affogate, altre sono riuscite a restare a galla: tra queste i due giovani palestinesi. Uno di loro ha raccontato all’OIM di essersi aggrappato a un salvagente con altre 7 persone, che col passare delle ore non hanno sostenuto la fatica. L’ultimo a restare accanto a lui è stato un bambino egiziano che, prima di mollare la presa, ha raccontato di essere partito per cercare di inviare a casa i soldi necessari a pagare le cure del padre gravemente malato di cuore. Dopo circa un giorno e mezzo alla deriva il ragazzo è stato avvistato da altri migranti che erano stati salvati dal mercantile “Pegasus”, che stava portando in Sicilia 386 persone soccorse a bordo di un’altra imbarcazione intercettata in zona poco prima. Il secondo ragazzo palestinese, che era riuscito a restare a galla grazie al giubbotto di salvataggio che aveva addosso, è stato salvato poco dopo. I mezzi di soccorso maltesi e greci intervenuti nel frattempo nell’area avrebbero trovato e salvato altri 9 migranti facenti parte dello stesso gruppo. Degli affondamenti avvenuti in Libia si sono salvati in 36. Contattati sotto anonimato dall’agenzia Ap, hanno parlato di un barcone con 250 persone ed un altro con 105. Il portavoce della Guardia Costiera libica ha insistito sul numero complessivo di 800 morti, invocando un forte sostegno europeo per rimettere in sesto il servizio di guardacoste, che in seguito alla frammentazione del potere libico è pressoché inesistente. «È una crisi umanitaria senza precedenti», afferma in un tweet la portavoce in Italia dell’ACNUR, Carlotta Sami. La ricostruzione fornita dall’Alto commissariato non coincide del tutto con quella di Tripoli. Il primo naufragio, ha spiegato l’agenzia delle Nazioni Unite, è avvenuto venerdì 13 settembre al largo di Malta, con un bilancio di 9 sopravvissuti e 300 dispersi, stima salita a 500 secondo quanto dichiarato dagli stessi superstiti. Il secondo, nello stesso giorno davanti alle coste egiziane, con 15 morti e 72 sopravvissuti. Poi, sempre venerdì scorso, davanti alle coste della Libia, da un altro naufragio sono stati recuperati tre cadaveri e 99 sopravvissuti. Sabato 14, un nuovo naufragio davanti alle coste libiche, con un bilancio non meno grave: 45 cadaveri recuperati – tra cui quelli di sei donne – e 75 sopravvissuti. Infine, sempre sabato e, al largo della Libia, l’ultima strage con 26 morti e altrettanti sopravvissuti. (Avvenire)