Ragusa – Con la fine del caldo estivo, si torna a lavorare nelle serre della fascia trasformata del ragusano. Ma la nuova stagione si apre nel segno del sangue per l’omicidio del lavoratore bengalese Sultan Tipu, avvenuto il 18 agosto e per cui è stato arrestato 24 ore dopo un 25enne, romeno, incensurato e anch’egli bracciante agricolo, il quale ha confessato l’omicidio giustificandolo proprio con la concorrenza nel lavoro dei campi. Un atto estremo, ma che conferma quanto le dinamiche del settore e le condizioni dei lavoratori stranieri nel comparto serricolo siano sempre più complicate e difficili. La crisi dei piccoli produttori, che contraddistingue l’economia ragusana, ha inasprito le condizioni dei lavoratori in una spirale perversa che, anche quando non presenta risvolti delittuosi, rimane tragica. Il numero di immigrati impiegati, più o meno regolarmente, in agricoltura supera abbondantemente le 15.000 unità e fino a pochi anni fa la manodopera straniera impiegata era formata quasi esclusivamente da tunisini, o comunque magrebini, che nel corso degli anni avevano raggiunto un buon livello di coscienza dei loro diritti e si erano sindacalizzati, riuscendo anche a percepire salari dignitosi. Alcuni di loro, attraverso la compartecipazione individuale, prevista da un contratto collettivo provinciale (il primo in Italia) che ha creato una sorta di mezzadria, sono diventati piccoli imprenditori. Con l’allargamento dell’Unione Europea ad altri paesi, fra i quali la Romania, il quadro è notevolmente cambiato. La situazione economico-sociale disastrata dei paesi di origine ha indotto, infatti, numerosi neo-comunitari, soprattutto rumeni, a cercare occupazione nelle serre del ragusano, accettando salari miserevoli (anche venti euro al giorno per circa dieci ore lavorative) e annullando così tutte le conquiste raggiunte da chi li ha preceduti. I fatti di sangue di questi primi giorni della stagione agricola dimostrano che la concorrenza al ribasso prosegue con cittadini non comunitari che si accontentano anche di una paga inferiore. È inutile dire che con questa concorrenza al ribasso l’intera manodopera ha perso in diritti e in qualità di vita e di lavoro. Secondo una ricerca realizzata dall’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria), la percentuale di lavoro nero nel ragusano è elevatissima e arriva a costituire anche il 50-60% del totale e riguarda soprattutto le micro aziende, nelle quali i controlli sono meno frequenti, se non inesistenti. Il lavoro cosiddetto “grigio” costituirebbe la parte restante, visto che il lavoro nel settore è concepito, a livello legislativo, come stagionale, sebbene nel ragusano, a causa delle coltivazioni in serre che slegano la produzione dalla stagionalità, esso si estenda lungo tutto l’arco dell’anno, con una diminuzione di manodopera richiesta solo nei mesi di luglio e agosto. Nella quasi totalità dei casi, il lavoratore non percepisce il salario sindacale, che si aggirerebbe intorno ai 49 euro lordi, ma che si ferma intorno ai 25 euro di media a cui vanno sottratti i soldi per il “caporale”. Un’ultima testimonianza arriva dai gironi infernali che sono diventati i centri di trasformazione (selezione e confezionamento del prodotto). La quasi totalità dei lavoratori stranieri (90-95%) è costituita da rumeni. Le ore effettive giornaliere sono decisamente più di quelle dichiarate: vista l’imprevedibilità dell’ora di arrivo della merce, gli operai sono spesso costretti ad attendere il carico per ore, con la conseguenza che per lavorare, ad esempio, due o tre ore in un giorno, il lavoratore deve “sostare” cinque o sei ore in magazzino. E, secondo quanto raccontano i migranti, vengono pagate solo le ore effettivamente lavorate. La paga, non sindacale, si aggira intorno ai 4,50-5,00 euro l’ora. Un ultimo aspetto sociale di fondamentale importanza riguarda le condizioni abitative di molti di questi lavoratori, che spesso vivono in casolari diroccati e sovraffollati disseminati nelle campagne della zona. Frequenti sono i casi di sfruttamento sessuale perpetrati ai danni di donne straniere, soprattutto rumene, come testimoniato dal picco di IVG registrato nell’ospedale di Vittoria, ricattate dai datori di lavoro e costrette a soggiacere ad abominevoli condizioni. (Vincenzo La Monica – Migrantes Ragusa)