Messina – Un peschereccio che si trasforma in un angolo d’inferno. Un viaggio impossibile da dimenticare, vissuto con la speranza di farcela ma con il timore, ben più forte, di morire: affogati o direttamente uccisi a colpi di coltello. Negli occhi dei 561 migranti arrivati a Messina domenica scorsa a bordo della petroliera Tomer Lotte che li ha tratti in salvo nel canale di Sicilia, le immagini di una vera e propria mattanza umana. Le forze dell’ordine, grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, hanno ricostruito il dramma consumatosi sotto gli occhi di donne, bambini e uomini, gli uni contro gli altri armati in uno spazio ridotto all’osso, in cui la morte di uno avrebbe significato la sopravvivenza dell’altro. A rendere ancor più incandescenti le fiamme della disperazione che hanno navigato a bordo dell’imbarcazione tra le “scie” del Mediterraneo, il tentativo, da parte dei migranti stipati nella stiva del mezzo, tra esalazioni di gas insopportabili, di riuscire a liberarsi e salire sul “ponte”. Un tentativo che per molti di loro ha significato essere uccisi a sangue freddo dagli uomini addetti alla “sicurezza”. Coloro che venivano colpiti, venivano gettati in acqua per fare spazio. Un rito di morte e crudeltà ripetuto per circa 60 volte. Poi ecco apparire la petroliera della salvezza, e via ad un nuovo caos: in molti si sono gettati in mare dalla barca, indossando il giubbotto di salvataggio, sperando di essere subito tratti in salvo. Ed è proprio a questo punto che si consuma il secondo e più triste momento di questa ennesima tragedia del Mediterraneo. Il piccolo Amadh, due anni, di origini siriane, scivola dalle braccia della mamma che fino all’ultimo istante ha tentato di tenerlo lontano da quella distesa di acqua nera e fredda; viene recuperato dopo qualche istante, ma è già troppo tardi: il bimbo viene condotto a bordo della Tomer privo di vita. “L’ho tenuto con me per un po’– ha raccontato sconvolta dal dolore la mamma della piccola vittima, che ora dovrà trovare la forza di ricominciare per gli altri tre figli – poi però il personale della nave l’ha portato via”. Quel corpicino i genitori lo hanno rivisto al momento della sbarco nel porto di Messina. Ed è proprio nella città dello Stretto che verrà officiata la cerimonia funebre (con rito islamico) per il bimbo siriano: i genitori di Amadh, infatti, grazie anche al supporto del presidente del Centro culturale islamico, hanno acconsentito ad effettuare in Italia tutte le pratiche burocratiche per la sepoltura, evitando, come la stessa coppia aveva manifestato in un primo momento, di procedere al rientro della salma in patria. La famiglia siriana, intanto, è stata sistemata nella comunità famiglia dell’Istituto dei padri Rogazionisti, diretto da padre Paolo Galioto, affiancata da un team di medici e psicologici pronti a dar loro sostegno in qualsiasi momento. A rivelarsi particolarmente complessa è stata anche l’attività di accoglienza messa in atto a partire da domenica pomeriggio in città. Ancora una volta, infatti, a causa della non piena collaborazione fra gli attori che hanno preso parte al tavolo prefettizio convocato nella giornata di sabato, ai migranti accolti all’interno della scuola media Pascoli, edificio individuato per il temporaneo ricovero, non è stata riservata neanche una dignitosa prima assistenza. Assenti i volontari di Croce Rossa e Protezione civile, presente solo un piccolo gruppo di associazioni e movimenti (Cambiamo Messina dal basso, comunità di Sant’Egidio, Unitalsi; Terra di Gesù onlus), che hanno fatto il possibile per tamponare la situazione. Che nei giorni successivi, però, trascorsi in attesa dei trasferimenti, è andata ulteriormente peggiorando sempre a causa della scarsa presenza di personale. Il meccanismo dell’ospitalità targato Messina continua dunque a fare registrare più di qualche problema: molto dipende anche dalla non individuazione di un luogo in cui poter sistemare i richiedenti asilo. A questo proposito, nei giorni scorsi, il prefetto Angelo Malandrino, ha effettuato un’ispezione all’interno dell’area militare di Bisconte dove insistono tre caserme da poter eventualmente utilizzare come siti di accoglienza. Messina, infatti, considerati gli ormai frequenti sbarchi effettuati in porto, deve necessariamente attrezzarsi per soddisfare la richiesta di ospitalità. (Elena De Pasquale – Migrantes Messina)