Roma – “Ha avuto il merito di strappare il manto d’ipocrisia che copre il dibattito sui richiedenti asilo”. Pur con intonazioni differenti, è unanime la reazione degli operatori umanitari all’intervista rilasciata ieri da Laura Boldrini ad Avvenire. «Si può pensare – questa la proposta del presidente della Camera – a vagliare le domande di asilo nei Paesi di transito (Egitto, Giordania, Libano, ecc.) trasferendo poi coloro che hanno bisogno di protezione verso altri Paesi, anche attraverso programmi di re insediamento». In breve, «i Paesi membri dell’Ue decidono quali persone, quali famiglie, quali comunità trasferire sul proprio territorio. Inoltre si può pensare a permessi di soggiorno temporanei, legati alla durata delle emergenze, misura prevista da una direttiva europea ancora non attuata». I numeri, da soli, spiegano perché il ragionamento di Boldrini non sia campato in aria. «La cosa vergognosa – osserva padre Giovanni La Manna, presidente del “Centro Astalli” – è che a fronte dei milioni di siriani ammassati nei paesi confinanti, è stato possibile programmare in Europa il reinsediamento di 31.817 persone». A parole «tutti siamo interessati a stroncare attività dei trafficanti, ma nei fatti?». E i fatti dicono che l’inerzia dell’Ue non solo favorisce i trafficanti che
stanno trasformando il
Mediterraneo in un cimitero, ma ha permesso che i mercanti di vite
estendessero i propri interessi nel Continente,
dove i profughi «vengono trasportati a pagamento e illegalmente
dai “passeur” verso altri
Paesi europei». Perciò è
tempo di «aprire gli occhi e non comportarsi
da farisei – insiste La Manna, dalla sede italiana del “Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati” –. La protezione temporanea è già prevista, non dobbiamo inventarci nulla, soprattutto in quei casi lampanti come la Siria. La sorte di Mohamed, l’ultimo dei bimbi morti in mare, pesa sulla nostra coscienza e su quella di un’Europa che si accapiglia per trovare un suo ministro degli Esteri, ma che non si occupa di questa umanità». Se la proposta di Laura Boldrini può andar bene per quei Paesi come Libano o Giordania, nei quali si vive una relativa stabilità politica che permette una cooperazione meno complicata con le autorità dell’Ue, resta il problema di quanti sono già finiti nella trappola libica. Su 496 natanti intercettati da Mare Nostrum «414 sono partiti dalla Libia e trasportavano 76mila persone. Altri 5mila sono salpati dall’Egitto. Come si fa a ad aprire un canale con un Paese senza controllo come la Libia?». Mons. Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, pone una questione decisiva: «Oggi il Paese di vero transito è l’Italia ed è qui che bisogna intervenire per rafforzare l’azione congiunta nel contesto europeo anche su Bulgaria e Romania, dove migliaia di siriani si stanno dirigendo lasciando il Paese dal confine settentrionale». Le proporzioni dell’esodo siriano fanno riflettere. In Europa oggi «si trova circa il 4% dei profughi da quel Paese. Il Libano ne accoglie un milione su quattro milioni di abitanti. Ma nell’Ue ci lamentiamo per la gestione di 85mila persone», riassume Carlotta Sami, portavoce dell’ACNUR. «Certo non credo sia realistico affidare l’esame delle richieste alle ambasciate – aggiunge -, ma è necessario studiare soluzioni ulteriori rispetto alle missioni umanitarie e ai programmi di reinsediamento». Del resto le guerre sono sempre più vicine all’Europa e «accanto al lavoro della diplomazia occorre spingere perché Mare Nostrum diventi davvero una iniziativa congiunta».
Da tempo anche la Caritas Internazionale chiede l’introduzione «di visti umanitari che siano facilmente accessibili», e l’incoraggiamento di misure per facilitare «il ricongiungimento familiare per permettere ai rifugiati ed ai migranti di riunirsi con i loro cari già presenti nell’Ue», ricorda Oliviero Forti, capo dell’Ufficio Immigrazione di Caritas Italiana. Una delle strade percorribili potrebbe essere quella dell’accesso facilitato nei Paesi terzi «ad un’ambasciata di uno Stato Membro dell’Ue diversa da quello in cui si intende chiedere il visto di ingresso». Tutte misure che «troveranno un concreto riscontro nella realtà – ribadisce Forti – solo nel momento in cui l’Ue implementerà canali legali sia per i richiedenti protezione internazionale che per i lavoratori migranti».
Intanto in Siria si muore ancora. Le iniziative diplomatiche non hanno dato gli effetti sperati e le fughe di massa sono spinte anche dagli islamisti radicali. «Mare Nostrum è l’esempio di come ci siano alternative alla chiusura delle frontiere – dice Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International –. Purtroppo è un’iniziativa lasciata solo all’Italia con il supporto di una nave slovena. Perciò applaudire l’Italia, come fa l’Unione Europea, e poi lavarsene le mani è davvero la prova dell’incoerenza dell’Ue». (Nello Scavo – Avvenire)