Sbarchi e accoglienza: l’esempio di chi si rimbocca le maniche

Reggio Calabria – Il continuo aggiornamento sugli arrivi di migliaia di migranti sulle nostre coste è cosa nota. Forse, però, giova alla completezza dell’informazione far presente ancora le buone prassi in atto in tante diocesi e regioni, soprattutto del sud dell’Italia.
In Calabria, nella diocesi di Reggio, opera da qualche anno lo scalabriniano p. Bruno Mioli, già direttore dell’Ufficio per la pastorale degli immigrati e rifugiati della Migrantesed ora direttore dell’ufficio Migrantes della diocesi di Reggio Calabria-Bova.
Il settimanale diocesano “Avvenire di Calabria” del 29 giugno ha pubblicato un articolo di p. Mioli intitolato: “Sbarchi a Reggio: in sette giorni hanno sfiorato il migliaio”. L’autore ci ha confessato che se lo avesse scritto la settimana successiva l’avrebbe intitolato: “Sbarchi: verso quota duemila”. Infatti facendo i conti, ai due scaglioni di oltre 300 e 600 della seconda metà di giugno si sono aggiunti gli 834 del 3 luglio; alcune centinaia sono state smistate o in Friuli via aerea o in altre province della Calabria; Reggio che doveva ospitarne 400, di fatto ha dovuto provvedere in un primo momento per 600, distribuiti in due ampie palestre; quasi tutti, però, hanno preso il treno per il Nord Italia tra sabato e domenica scorsi con solo un piccolo residuo partito il giorno dopo.
“Secondo fonti non ufficiali, ma accreditate”, puntualizza p. Bruno, “è prevista un’altra ondata, forse ancora più consistente, per i prossimi giorni. I primi sbarchi di massa sul nostro territorio risalgono ad agosto e settembre 2013, quasi una decina, ognuno con oltre cento immigrati con punte fin quasi a trecento: provengono soprattutto da Siria, Eritrea, Sudan e altri Paesi dell’Africa e del Vicino Oriente”.
I missionari e missionarie scalabriniani di Reggio Calabria si sono fin da subito domandati come rendersi presenti con qualche intervento non in concorrenza o sovrapposizione con quelli che erano tenuti a prestare dagli enti pubblici, ma a sostegno e integrazione ai medesimi. “In dialogo con una decina di altri organismi ecclesiali e gruppi di ispirazione cristiana e, al fine di rendere il contributo il più possibile tempestivo e coordinato, si è deciso di costituire un Coordinamento di pronto intervento, ben consapevoli che si deve operare sempre d’intesa con le Pubbliche Istituzioni, entro i limiti piuttosto rigidi posti per ragioni igieniche e di ordine pubblico”, spiega p. Mioli. 
Si è trasmesso, quindi, alla Prefettura un Promemoria nel quale si richiede un qualche riconoscimento formale, “al fine di avere una certa libertà di azione e di non incontrare indebiti ostacoli”. A capofila di questa équipe è stato designato il Centro Diocesano Migrantes, di cui è direttore appunto p. Bruno. La Prefettura ha mostrato interesse e apprezzamento per l’iniziativa, invitando i membri del Coordinamento a partecipare agli incontri dell’“Unità di crisi” nella quale in simili emergenze si riuniscono i più alti esponenti dell’apparato governativo, provinciale e comunale. Questo riconoscimento, si augura p. Mioli, “dovrebbe essere formalizzato nel “Protocollo d’intesa” che la Prefettura sta redigendo, in base alle direttive del Ministero dell’Interno, per precisare ruoli e competenze di chi opera in caso di sbarchi”.
“Con gli ultimi arrivi, precisa il direttore diocesano della Migrantes, le cose sono cambiate e non poco: ora chi sbarca è ostinatamente determinato a  proseguire la sua avventura fino al Nord Italia, ultima tappa verso il Nord Europa (Germania, Olanda e, soprattutto per i Siriani, Svezia)”.  Per questo, dopo aver dato le loro generalità, i migranti stessi si rifiutano di rilasciare le impronte digitali, cosa che li obbligherebbe a chiedere asilo politico e altra forma di protezione umanitaria in Italia.
Sembra che ci sia, in poche parole, una “tabella di marcia” prestabilita che i migranti seguono alla lettera: “Il primo giorno è per ristorarsi e recuperarsi dallo stordimento del viaggio, il secondo già si registra in loro un certo fermento, il terzo sono già sul piede di partenza: escono col loro fagotto dalla struttura che li ha ospitati senza alcuna opposizione da parte delle forze dell’ordine e cercano di raggiungere la stazione in tempo utile per prendere in tarda sera il treno per Roma-Milano”, spiega p. Bruno. Il fatto che abbiano quasi tutti con sé denaro sufficiente, non in euro ma in dollari per affrontare questi viaggi, dimostra con chiara evidenza che a fuggire non è gente economicamente disastrata, ma probabilmente il ceto medio, in alta percentuale giovani famiglie con uno o più figli. “Naturalmente in questo breve spazio di tre giorni, continua p. Bruno, durante i quali il contatto diretto con questi ospiti, come si è detto, è molto limitato, le possibilità di intervento da parte del Coordinamento si riducono, ma non si azzerano, anzi, ci assorbono notevolmente”. Le richieste riguardano soprattutto ciò che la struttura pubblica non offre, quindi vestiario e calzature; in casi particolari, però, risulta ancora più prezioso il mediatore linguistico per l’inglese e l’arabo, il medico, soprattutto per bambini e donne in gravidanza, oppure l’aiuto degli scout per un’ora di passatempo e gioco per i più piccoli; e ancora l’uso dei cellulari per comunicare con parenti e conoscenti lontani, le auto per raggiungere la stazione ferroviaria, indicazioni o eventuali integrazioni per l’acquisto del biglietto, una scorta d’acqua e cibo per il viaggio. Ma più ancora dei piccoli servizi prestati, incide sui migranti “lo sperimentare il nostro interesse e coinvolgimento, la vicinanza umana, il rapporto cordiale condito di qualche sorriso; e riteniamo un successo, che compensa abbondantemente la fatica e le ore spese vicino a loro, quando si riesce a far sorridere i loro bambini”, conclude p. Bruno.
Il lavoro non termina qui: occorre infatti interessare e coinvolgere la gente, in particolare le comunità parrocchiali, perché facciano la loro parte e non si limitino a guardare incuriosite dalla finestra quello che succede in piazza, magari anche con una certa riserva e con occhio critico.
Lo sguardo non può non allargarsi “alla grande scena del mondo, aggiunge però p. Bruno, alle politiche delle solenni declamazioni che, nel passare dalle parole ai fatti, si traducono in indifferenza, disimpegno, menefreghismo nei confronti delle cause che determinano questo esodo forzato che non merita il nome di migrazione”. Senza mezzi termini egli definisce questa indifferenza “il pilatesco lavarsi le mani e il tacciare di buonismo chi cerca di ovviare a questa pauroso vuoto con opere di supplenza”. Ben vengano, allora, opere di supplenza come quella in atto a Reggio Calabria che gridano forte verso quelli che dovrebbero intervenire, sperando di destare coscienze assopite o addormentate. (G. Beltrami)