Roma – Dal lontano 1969, quando don Bruno Nicolini curò la redazione del testo Famiglia zingara, al 2009, quando la giovane regista rom Laura Halilovic realizzò il film Io, la mia famiglia rom e Woody Allen, c’è stato un arco temporale di 40 anni. La struttura familiare rom narrata dal sacerdote fondatore dell’Opera Nomadi non sembra trovare alcun riscontro nelle fresche immagini della giovane regista torinese. Nei 40 anni intercorsi i nostri assi sociali sono cambiati e, di conseguenza, anche la famiglia rom e sinta appare “profondamente ridisegnata nella sua struttura”. Lo scrive mons. Giancarlo Perego nel capitolo “Le famiglie migranti, risorsa per la Chiesa e la città”, pubblicato all’interno del Rapporto CISF 2014 sulla famiglia in Italia e presentato oggi pomeriggio al Senato. Parlare della famiglia rom e sinta come un nucleo culturalmente lontano da noi, e non come una famiglia che vive e che sogna come qualsiasi altra famiglia italiana o straniera presente nel nostro territorio, “sarebbe un discorso sbagliato. Attraverso la relazione diretta ci accorgiamo spesso come tra i rom e i non rom ci siano molte meno differenze di quelle che pensiamo”. I bambini e i ragazzi rom sono minori che come i loro coetanei non rom chattano sui social network, twittano con i loro compagni e su Facebook, creano i loro profili e costruiscono le loro evasioni virtuali. Le giovani coppie rom hanno i medesimi sogni e desideri, difficoltà e problemi, dei loro coetanei non rom. Parliamo quindi di famiglie rom e sinte che “non hanno nulla di diverso dalle famiglie che abitano le nostre città, ma che nella realtà, è inutile nasconderlo, sono diverse”. La famiglia rom è “diversa non tanto per questioni meramente culturali, ma lo è per una condizione di povertà relativa e di povertà assoluta”, sottolinea mons. Perego dopo aver affrontato vari temi come i rom e la casa, i rom e la scuola, i rom e la salute, i rom e il lavoro. Oggi, forse, è tempo di inserire le azioni rivolte alle famiglie rom e sinte “nell’alveo delle ordinarie politiche familiari, facilitando anzitutto un adeguato sistema di accesso ai servizi e un riconoscimento del diritto alla cittadinanza che vale per chiunque, al di là del suo status giuridico e di una nostra classificazione etnica”. (R.I.)