Lampedusa – Visitare le periferie, toccare con mano i problemi di chi è in difficoltà, mettersi in ascolto. Il “metodo Bergoglio” è l’eredità più bella che la visita di Papa Francesco a Lampedusa ha lasciato alla comunità di quell’isola bagnata dal Mediterraneo, che appena tre mesi dopo lo storico viaggio del nuovo Pontefice si ritrovò a vivere la tragedia dell’immigrazione più grande degli ultimi anni. L’8 luglio 2013 è e resterà impresso nella memoria dei lampedusani come il giorno del riscatto, il momento in cui la “periferia dell’impero” è diventata centro, grazie al gesto semplice ma denso di significato di quell’uomo vestito di bianco e di umiltà. A papa Francesco Lampedusa ha raccontato ciò che l’isola ha fatto per accogliere chi è approdato in cerca di speranza, tutte le volte che la storia ha bussato alla porta dell’Europa. Parole e sguardi che don Stefano Nastasi non dimenticherà mai. Ripercorre ogni attimo di quel giorno il parroco che ha accolto papa Francesco sull’isola e lo ha guidato sui luoghi che hanno segnato le tappe della sofferenza, a volte della morte, ma anche della speranza di migliaia di migranti. “Porterò sempre con me l’immagine di papa Francesco che si mette in ascolto – confida don Stefano –. Prima che per parlare, il Papa è venuto per ascoltare, per capire cosa è accaduto, attraverso il nostro racconto. È un’immagine molto paterna, attenta, non distratta”. E poi ci sono le parole dette quel giorno, quando Bergoglio parla della “vostra accoglienza tanto umana e tanto cristiana”, ricorda don Stefano: “Ha cercato di incontrare la comunità e leggere la storia a partire dal basso. Una cosa che spesso abbiamo dimenticato”. Ma c’era anche una grande preoccupazione di come quella giornata si sarebbe sviluppata. “All’inizio, quando abbiamo saputo della visita, tutti siamo stati presi da un sentimento di incredulità – racconta don Stefano –. Un sogno coltivato da tempo, ma che era di difficile realizzazione, si stava invece compiendo. Era l’incontro di una parte di gregge col suo pastore. Per la comunità è stata un’esperienza che non si è interrotta, ma è continuata nel tempo, grazie alla grande comprensione e alla vicinanza che Papa Francesco ha garantito anche dopo. Quando è avvenuta la tragedia del 3 ottobre, in cui morirono centinaia di migranti, il Papa mandò l’elemosiniere. Ecco, la comunità adesso non si sente più distaccata da tutti, non si sente più periferia. Avverte la vicinanza della Chiesa molto più presente”. Don Stefano non è più parroco di San Gerlando a Lampedusa, al suo posto è subentrato don Mimmo Zambito, che sta continuando il lavoro avviato. “Nel cuore della gente è rimasto il metodo impresso dal Papa, quello di verificare di persona, di incontrare le periferie, di ascoltare chi è in difficoltà, soprattutto chi vive situazioni familiari e matrimoniali difficili”, dice Zambito, ricordando che l’8 luglio è la ricorrenza dei santi Aquila e Priscilla. La Caritas diocesana e italiana fanno sentire costantemente la loro presenza. L’Ai.Bi ha avviato un programma di formazione per le famiglie che vogliono accogliere minori stranieri non accompagnati. “Curare, custodire e piangere – aggiunge don Mimmo Zambito – sono le linee guida su cui la comunità si è ritrovata a riflettere e che hanno ispirato l’agire verso chi si trova in difficoltà, soprattutto quelle coppie, e sono tantissime, che vivono situazioni irregolari”. (A. Turrisi – Avvenire)