Migrantes Triveneto: verso un mondo migliore

Venezia – C’è un popolo nel mondo che conta 214 milioni di persone (fonte OIM 2010) ed è il popolo dei migranti, un popolo in movimento per ragioni culturali (ad esempio i Rom e i Sinti), per ragioni lavorative (pensiamo ai circensi, ai lunaparchisti), per ragioni di ricerca di un posto migliore dove vivere (si tratta degli immigrati), oppure per fuggire da guerre, persecuzioni, torture (sono i rifugiati e i profughi). I profughi e i rifugiati sono proprio i più vulnerabili tra i migranti. Per loro cercare un mondo migliore dove abitare significa sopravvivere. Nel 2011 hanno fatto domanda di asilo politico in Italia 37.350 persone (fonte Dossier Caritas-Migrantes). Possiamo affermare che in Italia il rifugiato non ha piena tutela. Non possiamo purtroppo sostenere il contrario se ci ricordiamo di coloro che perdono la vita nel Canale di Sicilia, dei richiedenti asilo che bivaccano a Lampedusa fuori dal centro di prima accoglienza, dei rifugiati e richiedenti asilo che occupano gli edifici inagibili e abbandonati nelle periferie delle grandi città o i parchi e le zone verdi in tutto il territorio italiano. Tutelare i rifugiati non significa dichiararli inespellibili, ma offrire loro accoglienza ed integrazione sociale e culturale. I cittadini stranieri regolarmente soggiornati in Italia sono 5.011.000, come ha rilevato il Dossier Caritas-Migrantes del 2012. Il fenomeno dell’immigrazione per il nostro paese è divenuto un fenomeno sociale ordinario e non legato all’emergenza. La società italiana è cambiata in questi ultimi anni grazie alla presenza nelle comunità degli immigrati. Bisogna che le diocesi in Italia maturino una pastorale ordinaria verso i migranti. Papa Francesco ci chiede di superare la distinzione tra italiani e stranieri. Solo un’attenzione della pastorale ordinaria alla multietnicità della nostra società, nella catechesi, nella liturgia e nella carità, ci permette di sensibilizzare le comunità cristiane e la società civile alla cultura dell’incontro. La crisi economica attuale sta scatenando, invece, una inutile guerra tra cittadini italiani e stranieri, invece dalla crisi usciremo solo se sapremo impegnarci insieme. La crisi economica, infatti, ha messo in luce gli aspetti della mancata integrazione tra le diverse culture presenti nelle nostre comunità. Anche alla luce della mancata integrazione possiamo spiegare il fenomeno dell’affollamento di cittadini immigrati nelle nostre carceri e dell’aumento dell’emigrazione. Proprio il fenomeno dell’emigrazione deve farci riflettere. Il Rapporto Italiani nel Mondo rileva che ci sono state 50.057 cancellazioni dalle anagrafi italiane per trasferimenti all’estero, il dato più alto dal 2000. Lo stesso dossier ci dice che si tratta di persone giovani e con una formazione scolastica elevata. Dovrebbe meravigliarci il contrario se pensiamo che l’ISTAT rileva che a settembre 2013 la disoccupazione giovanile supera il 40%. Nei genitori di oggi c’è la palpabile sensazione che i loro figli dovranno vivere in una condizione sociale peggiore rispetto alla loro. Alla generazione dei giovani abbiamo ucciso speranza e futuro: è una generazione chiamata dai sociologi “perduta”. Prepariamo persone con alta formazione e non diamo loro la possibilità con il lavoro di contribuire a far crescere il nostro Paese proponendo loro la strada dell’emigrazione. Il fenomeno dell’emigrazione di questi anni si differenza notevolmente da quello della fine del ‘800 e inizio del ‘900, perché oggi non c’è un’emigrazione di massa. Coloro che lasciano il nostro paese per cercare lavoro all’estero hanno un progetto migratorio individuale finendo così per rafforzare l’individualismo già presente nella cultura contemporanea. Nei due secoli precedenti gli italiani emigrando assieme ad altre persone formavano nel Paese di destinazione delle comunità coese che si aiutavano a vicenda. La creazione di una rete di comunità finalizzata all’aiuto e sostegno reciproco tra gli emigranti di oggi risulta, quindi, molto difficile. Questi sono argomenti che dovrebbero trovare ampio spazio nella pastorale delle diocesi e delle parrocchie se l’obiettivo dei discepoli di Gesù ribadito da Papa Francesco è: “l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza e diffondere l’amore”. E’ una sfida che deve vedere impegnate in primo luogo quelle realtà di servizio alla Chiesa presenti in ogni diocesi. Ci riferiamo in special modo alla necessità di collaborazione e interazione che dovrebbe stabilirsi tra la Migrantes, la Caritas, i centri missionari, la pastorale per l’ecumenismo, senza dimenticare l’ufficio liturgico, catechistico e non di meno la pastorale giovanile e … in una sinergia di intenti ed iniziative. La Chiesa deve saper dialogare non solo ad intra, ma anche ad extra: con la Pubblica Amministrazione (ad esempio con le Amministrazioni carcerarie, i servizi sociali e le scuole) e alle realtà dell’associazionismo e del privato sociale. Infine uno sforzo particolare richiede la riflessione sul principale scopo che per sua natura la Chiesa ha, che è quello, oltre alla testimonianza della carità, dell’annuncio esplicito di Cristo morto e risorto per darci la vita vera. Non dimentichiamoci che le opere di carità fatte senza finalità di proselitismo possono essere uno strumento per evidenziare la differenza cristiana che dovrebbe caratterizzare le donne e gli uomini che hanno incontrato il Signore Gesù. (I direttori Migrantes del Triveneto)