Rio de Janeiro – Un entusiasmo incontenibile ha accolto, questa mattina, papa Francesco alla favela Varghinha. E quasi “stonava” – benché più che comprensibile per ragioni di sicurezza – l’accompagnamento della scorta, le berline scure che precedevano e seguivano la sua utilitaria, le moto con i lampeggianti e la strada vuota nei quasi 18 chilometri percorsi da Rio alla favela. Nell’ultimo tratto, che Francesco ha compiuto sulla papamobile scoperta (con solo una protezione contro la pioggia), la macchina più volte ha rallentato e il Papa ha accarezzato e baciato i bambini che gli venivano portati. Così pure quando è sceso dall’auto e la folla gli si è potuta fare più prossima lui ha continuato a stringere mani, accarezzare e baciare i bambini di quella che è una delle 700 favelas di Rio, le zone “povere” della città, nelle quali meglio appaiono le disuguaglianze sociali dell’America Latina. E lui, il Papa latinoamericano, anima del documento di Aparecida, non vuole risparmiarsi, incurante dei tempi del “protocollo” a ciascuno ha dedicato attenzione.
Quindi, dopo essere entrato in una casa facendo visita, come previsto, a una famiglia, dal palco in un campetto allagato e sotto la pioggia a dirotto si è rivolto a tutti i presenti, a quella Comunità di Varghinha che “oggi rappresenta tutti i rioni del Brasile”. “Avrei voluto bussare a ogni porta, dire ‘buongiorno’, chiedere un bicchiere d’acqua fresca, prendere un ‘cafezinho’, parlare come ad amici di casa, ascoltare il cuore di ciascuno, dei genitori, dei figli, dei nonni…”.
Parla con il cuore papa Francesco. Ma le sue parole hanno segnato pure un’ulteriore tappa del suo magistero: l’accoglienza e la cultura della solidarietà, la fame del corpo e quella “più profonda” di “una felicità che solo Dio può saziare”. Infine, ancora i giovani e la speranza.
“Quando siamo generosi nell’accogliere una persona e condividiamo qualcosa con lei – un po’ di cibo, un posto nella nostra casa, il nostro tempo – non solo non rimaniamo più poveri, ma ci arricchiamo”, ha ricordato il Vescovo di Roma, convinto che “il popolo brasiliano, in particolare le persone più semplici, può offrire al mondo una preziosa lezione di solidarietà”. “Non è la cultura dell’egoismo, dell’individualismo, che spesso regola la nostra società, quella che costruisce e porta a un mondo più abitabile, ma la cultura della solidarietà; vedere nell’altro non un concorrente o un numero, ma un fratello”, ha rimarcato il Papa, aggiungendo a braccio che “tutti siamo fratelli”.
La Chiesa, da parte sua, “desidera offrire la sua collaborazione a ogni iniziativa che possa significare un vero sviluppo di ogni uomo e di tutto l’uomo”, sapendo che “dare il pane a chi ha fame” è “un atto di giustizia”, ma “c’è anche una fame più profonda” e lo sviluppo integrale dell’uomo non può ignorare i “pilastri fondamentali”. Questi, ha precisato Bergoglio, sono “la vita, che è dono di Dio, valore da tutelare e promuovere sempre; la famiglia, fondamento della convivenza e rimedio contro lo sfaldamento sociale; l’educazione integrale, che non si riduce a una semplice trasmissione d’informazioni con lo scopo di produrre profitto; la salute, che deve cercare il benessere integrale della persona, anche della dimensione spirituale, essenziale per l’equilibrio umano e per una sana convivenza; la sicurezza, nella convinzione che la violenza può essere vinta solo a partire dal cambiamento del cuore umano”. Parole forti e apprezzate, e non è certo casuale la scelta del luogo. Il Papa parla ai giovani per farsi sentire anche dagli adulti, parla agli “ultimi” per farsi capire a tutti.
(Da Rio de Janeiro Francesco Rossi)