Bari- La Giornata Mondiale per le Migrazioni di quest’anno, che ha visto la parte celebrativa nella nostra regione e precisamente a Bari, vuole sensibilizzare ognuno di noi sull’importanza che ogni uomo ha nei riguardi del fratello, di qualunque nazionalità egli sia. Aver scelto come tema un riferimento all’anno della fede, che tutti noi cattolici stiamo vivendo, vuole smuovere la nostra, di fede, alla ricerca del senso vero ed unico che ci deve vedere in cammino verso una unica meta, come unica è la fede che anima ogni uomo amato da quel Dio che ha assunto le sembianze di ogni fratello che bussa alle nostre porte. La vita dei migranti balza agli onori delle cronache solo con titoli da tregenda: “emergenza, tragedia, allarme, dramma…” Quando ci capita di ascoltare di sbarchi sulle coste del nostro meridione, in ognuno di noi scatta velocissimo un conteggio perverso che ci porta ad un rapido calcolo su quanti posti di lavoro ci verranno a rubare, senza soffermarsi almeno un istante nell’associare a quei numeri volti di persone che hanno intrapreso questo viaggio verso la speranza, come magari capita a molti di noi, cristiani ferventi, che ci spostiamo per il mondo alla ricerca di risposte alla nostra fede. Per questi nostri fratelli che mettono la loro vita nelle mani del loro Dio, il viaggio verso le nostre coste rappresenta un vero e proprio pellegrinaggio di speranza, come tanti secoli addietro, quando pellegrini cristiani si mettevano in cammino verso i luoghi deputati dalla Chiesa come luoghi presso i quali recarsi per chiedere il perdono dei peccati.
Loro, i migranti, l’unico vero peccato che si riconoscono è quello di avere bisogno di cercare e magari trovare la possibilità di emergere nella condizione di vita, fuggire da conflitti che li riguardano solo quando divengono le vittime ignare degli interessi economici che scatenano negli uomini gli istinti di Caino. Certo, a loro vantaggio non gioca la nostra poca voglia di informarci sulle dinamiche migratorie, come se restando nell’ignoranza culturale delle migrazioni possa arrestare quello che ancora definiamo un “fenomeno”, ma che tale non è mai stato.
Se guardiamo indietro di alcuni mesi, al tempo dei grandi sbarchi sulle coste della Sicilia e di Lampedusa in modo particolare, vediamo una grande pressione migratoria concentrata su un territorio risicato; quasi 66.000 migranti nell’arco di poco più di un anno di rivoluzioni nel nord Africa. Ebbene, di quella muraglia di disperati ne sono rimasti solo 21.000, ancora sul nostro territorio come richiedenti asilo per motivi umanitari o per persecuzioni politiche e alloggiati in strutture nate per lo scopo. Poca cosa rispetto ai numeri che ballano dinanzi ai nostri occhi, sciorinati all’occorrenza quando ci si trova di fronte ad un fatto delittuoso. È certamente un cammino di speranza, quello che anima ogni uomo in cammino per il mondo. Ma anche un cammino di fede; affidare la propria vita al fratello che accoglie è un gesto di fiducia estrema, specie se le notizie che precedono questo incontro non sono proprio confortanti. L’uomo da sempre ha visto negli spostamenti sul territorio una fonte di speranza, una opportunità per migliorare se stessi e la condizione dei propri cari; basti pensare ai grandi processi migratori nel nostro passato più recente. Anche su questo fronte occorre considerare il grande sforzo che i nostri emigrati compiono ogni istante della loro vita, per restare ancorati a quella religiosità che, il più delle volte, sono costretti a coltivare e far crescere senza l’aiuto di un sacerdote o missionario che rinvigorisca la loro fede in un contesto religioso chiaramente diverso da quello vissuto in Italia o nei loro paesi di origine. Viaggio di speranza in ogni cuore di uomo dello spettacolo viaggiante che si accosta con la sua attrazione alle nostre periferie, diventando periferia anch’egli. Fede in una mano che non sia solo protesa nel chiedere biglietti di favore ma aperta nel condividere, almeno per un breve tempo, la bellezza di sentirsi comunità di credenti nello stesso Dio, con sacramenti da ricevere, coscienze da ricondurre all’amore di Cristo, preghiere innalzate per ringraziare e non solo per chiedere. Per molti di loro, dei migranti, quel pellegrinaggio di speranza li ha portati nella nostra terra, nei nostri paesi e città, con una presenza sul territorio diocesano di circa 8.000 tra uomini, donne bambini e ragazzi, inseriti nel circuito scolastico a vari livelli. Non sono numeri dati per far colpo o incutere un qualsivoglia allarme; sono cifre che provengono dalle anagrafi comunali delle sette città della nostra diocesi! A loro occorre aggiungere almeno un 8-10% di migranti senza residenza.
Un cuore che si apre ad accogliere il fratello, a non farne cadere il ricordo nel dimenticatoio è un cuore che batte all’unisono con quello di Cristo, che ha provato nella sua vita la precarietà della migrazione già nella sua primissima infanzia. E sia la santa Famiglia di Nazareth la fonte dalla quale attingere a piene mani amore verso gli altri, verso i nostri fratelli in mobilità, per diventare noi stessi il traguardo di quel cammino di fede e di speranza che sono le migrazioni. (R. Geretta – Direttore Migrantes Trani-Barletta-Bisceglie)