Roma – Pubblichiamo il testo integrale di mons. Paolo Schiavon, Presidente della Commissione CEI per le Migrazioni e della Fondazione Migrantes, pronunciati questa mattina nel corso di una conferenza stampa, moderata da mons. Domenico Pompili, Direttore dell’Ufficio Comunicazioni Sociali della CEI, per la presentazione della Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato che si celebra domenica 13 gennaio.
Tutti sappiamo che l’immigrazione non è un problema semplice: è una questione che evoca forti passioni e dibattiti di sicurezza nazionale, economica, legali, sociali; ma coinvolge anche la dignità fondamentale e la vita della persona, creata ad immagine e somiglianza di Dio. Ed a causa di questo è in primo luogo una questione morale che occupa e preoccupa la Chiesa. Il Santo Padre, nella Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che celebreremo domenica prossima 13 gennaio, ci invita a guardare il fenomeno migratorio sotto una angolatura particolare: “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza”.
È una Giornata che viviamo in concomitanza con le celebrazioni del 50° anniversario dell’apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II, mentre tutta la Chiesa è impegnata a vivere l’Anno della fede.
L’ottica con cui, quest’anno, siamo invitati a guardare ai flussi migratori, mi riporta alla memoria, un sentiero di montagna, percorso l’estate scorsa, dove, ad un certo punto, sul muretto che delimitava la strada, lessi queste parole: “Homo viator, spe erectus”.
“Homo viator”. L’uomo è un viandante.
Questa condizione, che appartiene alla struttura stessa di esistere, è felicemente illustrata nella Bibbia dalla presenza di personaggi come Adamo, espulso dall’Eden; come Abramo, volontario pellegrino per obbedienza; come Mosè che ha fatto di Israele un popolo pellegrinante nel deserto di Sinai.
Nella prima lettera di Pietro c’è una frase che definisce anche i cristiani come “stranieri e pellegrini” (2,11).
Del resto non potrebbe essere diversamente se si pensa che Dio si ha fatto anche lui pellegrino seguendo il suo popolo, e in Gesù, accompagna questo popolo lungo il percorso che si inoltra nella dimensione inesauribile del divino, rinnovando continuamente la consapevolezza che nessun luogo di questa terra può mai diventare la meta definitiva.
Ma sentirsi viandanti è una condizione difficile da interpretare, a causa di nostalgie e difficoltà impreviste; ecco perché è importante anche la seconda parte della iscrizione citata all’inizio: “spe erectus”.
Per poter camminare come viandanti verso una meta è importante sentirsi sostenuti dalla speranza. E la speranza per noi cristiani ha un nome: si chiama Gesù. È Gesù che ci permette di attraversare le difficoltà senza cedere allo sconforto, come è avvenuto per i due discepoli di Emmaus.
Nella nostra epoca, possiamo vedere le migrazioni come nuove forme del pellegrinare, ed è un fenomeno che sta aumentando in maniera considerevole come espressione tra le più significative del mondo globalizzato.
Circa 215 milioni di esseri umani sperimentano oggi la sorte migratoria.
Il Messaggio di Benedetto XVI per la 99^ Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, non vuole tanto porre in luce l’impressionante numero di persone coinvolte nel fenomeno migratorio, ma vuole far emergere l’anima di questa gente, che spinta dalla “disperazione di un futuro impossibile da costruire”, si avventura in un pellegrinaggio esistenziale alla ricerca di un futuro migliore, ciascuna con il proprio bagaglio di fede e di speranza.
Il Santo Padre inizia il messaggio con la affermazione che la Chiesa, “esperta in umanità”, desidera essere là dove sono i migranti, là dove sono uomini e donne, giovani ed anziani alla ricerca, spesso sofferta, di futuro, per condividere gioie e speranze, dolori e sofferenze, per offrire aiuto umano e solidarietà sociale, per difenderli qualora fossero lesi i loro diritti, ma soprattutto con l’azione pastorale.
Nel Messaggio seguono poi le varie coordinate in cui vengono delineati i compiti della Chiesa in tema di emigrazione, oggi.
Ne ricordo solo alcuni.
Ciò che spinge queste persone ad abbandonare i propri luoghi ed i propri affetti, è la “terra promessa” come metafora; è il sogno di un miglioramento soprattutto materiale che porta l’immigrato a decidere di abbandonare il contesto di origine.
È ormai celebre la frase di quel migrante italiano negli Stati Uniti: “sono venuto in America perché mi avevano detto che le strade erano pavimentate d’oro.
Quando sono venuto ho scoperto tre cose:
* una, che le strade non sono pavimentate d’oro;
* due, che le strade non sono pavimentate affatto;
* tre, mi hanno chiesto di pavimentarle”.
Il sogno della terra promessa si trasforma troppo spesso in una realtà difficile, ed a volte dai contorni anche drammatici.
– In queste situazioni di emergenza si concretizzano gli aiuti elargiti con “generosa dedizione di singoli e di gruppi, associazioni di volontariato e movimenti, organismi parrocchiali e diocesani in collaborazione con tutte le persone di buona volontà”.
– Nel Messaggio viene richiamata l’attenzione anche sull’aspetto relativo alle “buone potenzialità” e alle “risorse di cui le migrazioni sono portatrici”.
In questa direzione – ricorda Benedetto XVI – vi sono iniziative che “favoriscono e accompagnano un inserimento integrale di migranti, richiedenti asilo e rifugiati nel nuovo contesto socio-culturale, senza trascurare la dimensione religiosa, essenziale per la vita di ogni persona”.
A proposito delle “buone potenzialità” i tanti dati evidenziati dal Dossier statistico immigrazione 2012 della Caritas e della Migrantes, ci dicono che l’immigrato non solo si va sempre più integrando nel tessuto del mercato economico del Paese, dal settore dei servizi a quello edilizio, ma ha anche intrapreso la via del protagonismo personale, diventando un imprenditore straniero.
– Le migrazioni sono pure un possibile veicolo di dialogo e di annuncio del Messaggio Cristiano; sono occasione di nuova Evangelizzazione e di Missione, con spazio anche per il dialogo interreligioso, e per un sostegno della dimensione spirituale di tutti.
Da una particolare attenzione alla dimensione religiosa degli immigrati e alla convivenza interreligiosa, può derivare un ritorno benefico anche nei paesi di origine, in molti dei quali manca o è carente la pratica della libertà religiosa.
Gli immigrati sono una risorsa economica per il loro paese di origine attraverso le rimesse, ma sono anche ottimi ambasciatori nelle loro comunità di valori come la libertà e la democrazia.
– Benedetto XVI ricorda che la pastorale migratoria della Chiesa rifiuta il “mero assistenzialismo”, mentre promuove soprattutto “l’autentica integrazione, in una società dove tutti siano membri attivi e responsabili ciascuno del benessere dell’altro, generosi nell’assicurare apporti originali, con pieno diritto di cittadinanza e partecipazione ai medesimi diritti e doveri”.
L’integrazione, secondo il Pontefice, non è un’assimilazione, che induce a sopprimere o a dimenticare la propria identità culturale.
Il contatto con l’altro porta piuttosto a scoprire il “segreto”, ad aprirsi a lui per accogliere gli aspetti validi e contribuire così ad una maggiore conoscenza di ciascuno.
È un processo prolungato che mira a formare società e culture, rendendole sempre più riflesso dei multiformi doni di Dio agli uomini.
– Nel contesto socio politico attuale, il diritto all’emigrazione è contemperato dal “diritto a non emigrare”.
Già il Beato Giovanni Paolo II aveva affermato che “diritto primario dell’uomo è di vivere nella propria patria”, purché siano sotto controllo i fattori che spingono all’emigrazione.
– Da qui la necessità di collegare la integrazione alla cooperazione con i paesi di provenienza degli immigrati. (Il Papa parla di “quanto mai opportuni interventi organici e multilaterali per lo sviluppo dei Paesi di partenza…”).
– Per il futuro accanto a una politica dei flussi migratori in grado di restringere i canali irregolari, il messaggio sostiene la necessita che a livello delle singole persone, specialmente bisognose di protezione umanitaria o di asilo politico, l’accoglienza dello straniero non sia vissuto come un compito ma come modo di vivere e condividere.
– Il Santo Padre conclude il Messaggio citando la propria enciclica Spe Salvi, in cui definisce la vita come un “viaggio sul mare della storia, spesso oscuro ed in burrasca”, in cui gli astri, che ci indicano la rotta e ci infondono speranza per la nostra traversata, possono essere un piccolo gesto di attenzione, come un sorriso, un saluto, una chiacchierata, un invito a partecipare alle attività di tutti i giorni; sono luci vicine, di persone, che donano luce, attinta da Cristo, il sole sorto sopra tutte le tenebre della storia.