Riaperto a Chicago il santuario dedicato alla patrona degli emigranti

Chicago – Il letto, la scrivania, l’inginocchiatoio, la coperta, la sacra reliquia, la sedia, il tabernacolo portatile, l’elenco delle suore. Questi e altri semplici oggetti accompagnarono nelle sue ultime ore terrene una donna lodigiana, di salute gracile ma di volontà titanica, che visse bruciando di amore per il Sacro Cuore di Gesù, ricevendone la forza per realizzare grandi cose. Questa donna si chiamava Francesca. Canonizzata nel 1946, quattro anni dopo venne proclamata patrona degli emigranti. In quella stanza presso l’ospedale Columbus di Chicago, madre Cabrini morì il 22 dicembre 1917, lasciando – dopo aver attraversato ventiquattro volte l’oceano Atlantico – sessantasette opere educative, ospedaliere e assistenziali sparse tra Stati Uniti, America Latina ed Europa. I semi del suo amore travolgente verso gli emigranti, le loro famiglie, i loro orfani e i loro ammalati, verso i lavoratori e i prigionieri erano germogliati immediatamente: una riprova ne fu la quantità di pellegrini che venne a visitare la stanza. Anche grazie a questa silenziosa e inarrestabile dimostrazione di solido affetto, nelle suore sorse subito il desiderio di conservare i luoghi della santa più rivoluzionaria e femminista del Novecento. Un desiderio la cui realizzazione ha richiesto negli anni un impegno e una tenacia continui. Oggi la stanza – dal senso non solo simbolico, ma sacramentale, come luogo in cui si incarna l’identità e la storia cabriniana – è visitabile all’interno del santuario che il 30 settembre scorso è stato riaperto dopo un decennio di chiusura. La storia del santuario cabriniano di Chicago è intrecciata con quella del circostante ospedale Columbus la cui costruzione fu avviata, tra mille difficoltà, nel 1905. Dopo aver subito diverse varianti nel 1920, il nosocomio venne ricostruito nel 1950 per opera della seconda Superiora generale dell’istituto, madre Antonietta della Casa, che aveva intensificato l’opera ospedaliera aprendo, in contemporanea, ospedali a Melbourne e Milano, nonché durante la guerra, un secondo nosocomio proprio a Chicago, il «Frank Cuneo Memorial Hospital» per volontà del benefattore omonimo, che aveva fatto un importante lascito. Il 21 settembre 1950 venne dunque inaugurato il nuovo Columbus Hospital di Chicago: la ricostruzione fu un autentico trionfo sia per le missionarie, che per i medici e per tutto il personale del nosocomio: la struttura era in grado di ospitare fino a seicento malati, in camere arredate con buon gusto e con tutti gli ultimi accorgimenti tecnici e sanitari. Bellezza e funzionalità: un ospedale, dunque, in perfetto stile cabriniano. Due anni dopo fu avviata l’edificazione della cappella in onore di madre Cabrini, finalmente conclusa nel 1955: un nuovo, importante tassello alla storia dell’ordine veniva così aggiunto, arricchendo il grande mosaico tessuto sull’eredità della madre, un mosaico che negli anni ha incoraggiato e sostenuto fattivamente la vita delle migliaia di pellegrini, soprattutto emigranti, che hanno avuto — e continuano ad avere — nella santa una protettrice appassionata e fedele. Una grande boccia di vetro raccoglieva migliaia di bigliettini sui quali i pellegrini scrivevano i loro bisogni affidandoli alla preghiera di intercessione della madre degli Emigranti. Il santuario continuò la sua missione finché rimase in attività il Columbus Hospital, da cui iniziarono però a giungere preoccupanti segnali di crisi a partire dagli anni Novanta del Novecento. Non che le cabriniane avessero mestamente tirato i remi in barca. Molti infatti erano stati i passi compiuti per cercare di risolvere la crisi che ormai incombeva sugli ospedali cattolici e, più in generale, sugli ospedali privati. Le religiose tentarono anche una fusione e un coordinamento con un altro ospedale delle Suore di Carità che, si supponeva, potessero risollevare le sorti del Columbus, ma i tentativi fallirono. All’inizio del 2000 ne venne dunque decretata la chiusura. A quel punto si tentò di vendere tutto l’edificio. Ma la cessione si presentò subito estremamente complessa. Il problema, in particolare, era costituito dal fatto che le suore proponevano, o meglio ponevano una sorta di condizione ai compratori: salvare il santuario collocato esattamente al centro della proprietà. Esso infatti era incastonato all’interno degli edifici che componevano il complesso ospedaliero. Lo si era fatto apposta al momento della costruzione: si voleva che dalle finestre delle camere dell’ospedale – e del convento limitrofo – si vedesse il santuario, collocato al centro come un nobile guardiano che calamitava attorno a sé tutte le attività. La superiora generale del tempo, Lina Colombini, e le altre suore sentivano tutto il peso della decisione da prendere: le necessità economiche imponevano la vendita degli edifici, ma le necessità spirituali premevano al contempo per salvare un luogo simbolo del carisma cabriniano. Come sempre nella storia delle missionarie del Sacro Cuore di Gesù, fu la Provvidenza a venire in aiuto, reclamata, certamente, a gran voce dalle incessanti preghiere delle religiose. Si presentò, infatti, un nuovo compratore che accettò di rinunciare al terreno su cui il santuario è eretto. In attesa della demolizione completa degli edifici che componevano l’ospedale Columbus, il santuario venne dunque chiuso e opportunamente incartato a mo’ di protezione. A lungo le ruspe vi lavorarono attorno, poi fu il momento dei cantieri della ricostruzione, quindi quello della pazienza. La pazienza di affrontare tutte le vicissitudini del caso, tra burocrazia edilizia e non solo: tempo, denaro, attese infinite, documenti, progetti, permessi grazie ai quali le suore, coraggiose e audaci, sono comunque riuscite a intraprenderne la ristrutturazione. Così finalmente, dopo dieci anni, il santuario – che nel frattempo ha subito alcune modifiche dettate dalle leggi vigenti – ha potuto riaprire le porte. «Un santuario bellissimo – nelle parole di Angelo Ruggieri, un pellegrino giunto a Chicago dall’Italia – che dal punto di vista urbanistico è un capolavoro di cucitura del tessuto urbano in un contesto residenziale di grande valore estetico. Ma la cucitura la compie una testimonianza di Fede e la offre senza mancare di evidenza e al tempo stesso di discrezione». Il momento solenne è venuto il 30 settembre scorso, con una celebrazione officiata dall’arcivescovo di Chicago, il cardinale Francis Eugene George. Vi hanno preso parte centinaia di persone provenienti da varie parti degli Stati Uniti e delle Comunità del mondo cabriniano. La felicità che traspariva dai volti e dagli occhi delle suore, delle consorelle e dei laici confluiti a Chicago dagli angoli più disparati e lontani, testimoniava l’importanza della condivisione nella vita di comunità. La bellezza e la forza che scaturisce dall’affidarsi con fiducia al Cuore di Gesù. Il miracolo di un’identità condivisa che, pur tra lingue diverse, parla lo stesso linguaggio nell’azione e nella spiritualità di madre Cabrini. La presenza di tanti esponenti della Chiesa locale ha testimoniato l’amicizia e la collaborazione che le suore hanno creato con il tessuto circostante. Durante la cerimonia, qualche iniziale problema ai microfoni ha solo rafforzato il senso dell’aiuto collettivo. Poi soprattutto il calore e il trasporto di partecipare tutti insieme alla festa dell’intera comunità cabriniana attraverso le preghiere, i canti (al termine della celebrazione il coro ha intonato in italiano il canto di madre Cabrini Nel cuor della grande America), le note impetuose del bellissimo organo messo a nuovo ad accompagnare la funzione e la lenta processione in uscita tra l’esultanza generale rallegrata da foto, abbracci, sorrisi e più di una lacrima di commozione. La festa è proseguita fino a tarda notte. «Alla sera – ha raccontato Giuliano A. Lucani, un altro partecipante italiano – un gruppo consistente di pellegrini hanno provato l’ebbrezza del blues suonato alla Kingston Mines. Chicago è la patria dei Blues Brothers, quelli che “erano in missione per conto di Dio” e avevano organizzato un grande concerto per salvare la scuola cattolica retta da suore in cui erano stati allevati ed educati (che fossero suore missionarie del Sacro Cuore di Gesù?). L’emozione della musica dal vivo ha coinvolto tutti. E tutti, religiose comprese, hanno accompagnato con il battito ritmico delle mani le esibizioni di musicisti e cantanti straordinari, veri talenti spesso sconosciuti che si esibiscono per pochi dollari solo per il piacere di fare musica insieme». Operativamente il santuario (che agirà in coordinamento con la parrocchia vicina pur rimanendo indipendente) ha un direttore cappellano, una responsabile, personale addetto all’accoglienza e alla spiegazione del messaggio di santa Francesca Cabrini. È altresì dotato di sale per la lettura, per la preghiera e per i convegni, nonché per l’esposizione della raccolta museale dei ricordi inerenti madre Cabrini. Un sistema informatico, inoltre, faciliterà la comunicazione e la visita. Emozioni, gioie, meraviglie e fatiche. «È vivo in me il ricordo – ha raccontato madre Lina Colombini, già superiora generale delle cabriniane e una delle protagoniste dell’incredibile avventura di Chicago – della comunicazione della chiusura del Columbus alle sorelle della Provincia Stella Maris nel corso della loro assemblea annuale a Des Plaines nel lontano 1999: “finora abbiamo curato i corpi, in avvenire cureremo le anime”. Forse nemmeno io pensavo al significato di queste parole ed è per questo che il 30 settembre mi è sembrato un sogno realizzato da Colui che sempre fa nuove tutte le cose e che dirige il corso della storia secondo i suoi voleri. Ora il sogno continua ed è quello che questo luogo diventi veramente un punto di riferimento per tante persone in cerca della verità, un centro di evangelizzazione, un luogo in cui madre Cabrini continua, attraverso le sue figlie e quanti vorranno seguirla a condurre le anime a Gesù Via, Verità e Vita e a tenere viva la passione missionaria di far conoscere l’amore del Cuore di Gesù fino agli ultimi confini della terra». «Ora – sono parole di Ruggieri – si aprirà un momento molto impegnativo per dare respiro al santuario: è un lavoro culturale; una delle nuove dimensioni dell’integrazione nelle società complesse in cui viviamo, da vivere nel segno della Fede: “senza bisaccia, senza bastone, senza sandali”, con una più radicale fedeltà al messaggio evangelico». Si sa, a madre Cabrini piaceva mirare in alto, credere “in grande” e non arrendersi mai davanti alle difficoltà. Perché – come amava ripetere – quando si opera in nome e per conto di Dio, la Divina Provvidenza ci è sempre accanto e Dio non ci abbandona mai. «Il santuario – gli ha fatto eco madre Lina – era stato per tanti anni il fulcro e l’anima dell’attività apostolica e missionaria di migliaia di Missionarie del Sacro Cuore di Gesù e laici collaboratori che, nello spirito di madre Cabrini, hanno prestato il loro servizio agli ammalati e ai sofferenti e a quanti ricorrevano loro per cure materiali e spirituali. Tanti sono i ricordi di persone che, insieme alla salute del corpo, hanno ritrovato la pace dell’anima. Questo luogo infatti, è stato per tante giovani missionarie la loro prima esperienza apostolica, il loro banco di prova dove, ai piedi del tabernacolo o nella camera dove ha terminato la sua vita terrena madre Cabrini, hanno trovato la forza di vivere la loro consacrazione al Signore attraverso la cura dei malati, non sempre a tutte congeniale. Qui molte hanno imparato a mettere in pratica ciò che poteva significare per Francesca Cabrini ciò che il suo parroco le diceva quando le sottoponeva qualche cosa: “va’, dillo al tuo Gesù” e a trovare la forza e la gioia della donazione a Dio e al prossimo. Se tanta è stata la tristezza della chiusura, altrettanta e maggiore la gioia della riapertura». Questa piccola donna di fine Ottocento ha insegnato al mondo ad affrontare senza paura grandi responsabilità, a valorizzare le proprie doti opponendo il bene al male nell’impegno quotidiano. Il santuario di Chicago è una ritrovata pietra incastonata in un’opera santa che, miracolosamente, continua a fruttificare, tenace e fedele. (di G. GALEOTTI – OSSERVATORE ROMANO)