Mons. Nosiglia: i rom “un posto nel cuore di Dio”

Torino – “Non stranieri ma concittadini e familiari di Dio”. E’ questo il titolo della lettera pastorale dell’arcivescovo di Torino, mons. Cesare Nosiglia e dedicata ai popoli nomadi (Rom, Sinti) che vivono nelle nostre città, anzi, spesso “ai margini” delle nostre città e fra le nostre case. La lettera si divide in tre parti: nella prima mons. Nosiglia si rivolge ai nomadi, nella seconda ai rappresentanti delle istituzioni politiche e civile e nella terza parte alle “care sorelle e cari fratelli nel Signore”.  Nella prima parte, rivolta proprio al popolo nomade li invita ad “avere fiducia”. “Conosco tanti di voi – scrive – vi ho visitato nei campi dove vivete , vi ho incontrato in molte occasioni per le strade della nostra città e dei nostri paesi. Ho nel cuore gli occhi di tanti uomini, donne, bambini, ragazzi e nella mia preghiera trovate tutti posto. Ma soprattutto vorrei dirvi che avete posto nel cuore di Dio, che non dimentica nessuno di voi. Conosco le vostre sofferenze, le umiliazioni, le difficoltà, ma anche i vostri sogni, le vostre speranze, la fatica di raggiungere una vita migliore. So che sperate un futuro più bello per i vostri figli e per le vostre figlie: i vostri figli sono il vostro tesoro”. “Vorrei dirvi: abbiate fiducia! Abbiate fiducia – è l’invito del presule – nella possibilità di dare un’istruzione, una casa, un lavoro ai vostri figli! Abbiate fiducia di avere un posto migliore tra noi, nella nostra città e nei nostri paesi. Abbiate fiducia di poter essere amici di noi non rom e non sinti, ma tutti figli dello stesso Dio, che è Padre di tutti. Lo dico ai cristiani, ma anche ai musulmani: siamo tutti figli dell’unico Dio, Padre di tutti noi. Siamo fratelli e sorelle”.  “Avere fiducia” significa, prosegue mons. Nosiglia, “non credere di risolvere i problemi della vita con la violenza o con la delinquenza e l’illegalità”, ma piuttosto affermare “la dignità dei vostri popoli, quella che voi difendete con l’onore di una vita buona, fiduciosa, rispettosa di voi stessi e degli altri, capace di offrire il contributo della vostra umanità alla costruzione di una vita più bella per tutti: rom, sinti e manush uniti. Il nostro futuro è vivere insieme, come una grande famiglia. In una famiglia si vive insieme ma nessuno è uguale ad un altro”.  È questa realtà della convivenza la base da cui partire per costruire un rapporto sereno tra i popoli nomadi e quelli che non lo sono, secondo mons. Nosiglia. Questo è anche il principio ispiratore della Lettera pastorale: rivolgendosi prima di tutto e direttamente ai nomadi l’arcivescovo di Torino intende far rimarcare la necessità di superare diffidenze e divisioni che appartengono a epoche passate, caratterizzate da società chiuse, in cui ogni integrazione era difficile. La realtà di oggi è completamente diversa, e certe “frontiere” sono cadute per sempre. Anche per questo non ha senso cercare di confinare i nomadi in un “ghetto culturale”, né affrontare i problemi di relazione con i popoli Rom e Sinti come una questione di carattere puramente assistenziale. Il “popolo più giovane d’Europa” è anche quello che subisce più di ogni altro le conseguenze di un atteggiamento di chiusura di cui la nostra società che si vorrebbe “civile” sembra non rendersi neppure conto.