Roma – Li portarono via tutti insieme, ammassati in treni come animali, e lasciati nel freddo glaciale del Kazakhistan. Era il 29 gennaio 1942: con la deportazione fu dispersa la fiorente comunità italiana in Crimea, e decimata. Dal 1784 soprattutto pugliesi avevano scelto la Crimea in cerca di fortuna e s’erano insediati a Kerch. Questa piccola comunità crebbe negli anni e prosperò. Antonio Felice Garibaldi, zio paterno dell’eroe nazionale promosse la costruzione di una chiesa che divenne centro e simbolo di questa piccola Italia. Poi venne la Rivoluzione bolscevica che in Crimea arrivò soltanto nel 1920, e le cose cambiarono. Anche la chiesa, con altri beni, fu confiscata e don Aleksander Frison fu uno dei primi martiri. Il sacerdote di origine tedesca, oggi beato, fu arrestato più volte e infine fucilato. Gli italiani dispersi in Kazakhistan, che intanto hanno subito un processo di russificazione dovuto ai matrimoni e perché costretti a mascherare la loro origine, sono tornati nella loro Kerch soltanto dopo la caduta del comunismo e hanno rifondato la loro parrocchia e ricostruito la chiesa. E dal 1992 cercano di far sentire la loro voce. In pratica, però, inascoltata. Due libri di testimonianze, curati da Giulio Vignoli e Giulia Giacchetti Boico (Edizioni Settimo Sigillo) ripropongono questa tragedia dimenticata e rinnovano l’appello al governo italiano. Sono alcune centinaia di persone, discendenti di italiani (lo è la stessa Giacchetti Boico) che, con voce sommessa, esprimono un desiderio di italianità. Vogliono essere riconosciuti come italiani. Dal 1992 al 1997, l’ambasciata italiana in Ucraina ha ricevuto 47 domande di riottenimento della cittadinanza, ma solo due hanno avuto esito positivo. È infatti difficile, dimostrare l’origine italiana perché tutti i documenti furono distrutti dai sovietici.
Non chiedono molto e non sono in tanti a chiederlo, perché i discendenti di quei primi italiani oggi hanno nomi e cognomi russi e forse non sanno nemmeno dove sta la Puglia.
“Chiediamo poche cose. – dice Giulia Giacchetti Boico, di recente in Italia per portare le richieste dei concittadini – È necessario che l’Ucraina e la Repubblica autonoma di Crimea riconoscano ufficialmente la deportazione degli italiani come hanno fatto per altre minoranze. Ma soprattutto vogliamo che l’Italia riconosca la cittadinanza agli italiani di Crimea”. È da dire che la Germania ha avuto un problema analogo ma, basandosi solo sul concetto di nazione, ha permesso il rientro in patria di tedeschi del Volga, e lo stesso ha fatto la Grecia con la piccola minoranza del Mar Nero. Questi italiani li ha conosciuti don Edoardo Canetta negli anni in cui è stato parroco in Kazakhistan: “Come figli di italiani – ricorda – non avevano mai rinunciato ufficialmente alla cittadinanza italiana”.
E da Kerch gli italiani ricordano che lo Stato italiano, con una legge del 2000, ha emanato disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza a persone nate e già residenti nei territori appartenenti all’Impero austro- ungarico. Con una legge del 2006, poi, è stata riconosciuta la cittadinanza ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti. (Giovanni Ruggiero)
E da Kerch gli italiani ricordano che lo Stato italiano, con una legge del 2000, ha emanato disposizioni per il riconoscimento della cittadinanza a persone nate e già residenti nei territori appartenenti all’Impero austro- ungarico. Con una legge del 2006, poi, è stata riconosciuta la cittadinanza ai connazionali dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia e ai loro discendenti. (Giovanni Ruggiero)