Città del Vaticano – Pioggia e cielo coperto prima dell’alba, poi il primo raggio di sole. Il sole di una calda giornata di ottobre come solo Roma sa offrire. In quella mattina dell’11 ottobre 1962 andarono smentiti quanti avevano visto una similitudine meteorologica con il Concilio Vaticano I, iniziatosi sotto la pioggia. Ma allora, novantatré anni prima, era dicembre. Il Concilio Vaticano II invece si apriva sotto il sole. E forse papa Giovanni lo aveva previsto, perché nel discorso di apertura, preparato in precedenza, dirà con felice immagine: “Il Concilio che inizia sorge nella Chiesa come un giorno fulgente di luce splendidissima. È appena l’aurora: ma come già toccano soavemente i nostri animi i primi raggi del sole sorgente!”. Sono le otto e trenta precise quando, dopo il rituale “Procedamus!” scandito dal Maestro delle cerimonie pontificie, esce dal Portone di Bronzo la grandiosa processione diretta alla basilica di San Pietro. Un corteo variopinto lungo quasi quattro chilometri, uno spettacolo mai visto prima, un segno tangibile dell’universalità della Chiesa, seguito in tutto il mondo da milioni di persone grazie alla radio e alla televisione. Il campanone di San Pietro riversa i suoi rintocchi sulla piazza e gli fanno ecco all’unisono tutte le cattedrali di Roma e, nel medesimo istante, tutte le chiese sparse nei cinque continenti. Sfilano nei loro costumi i componenti della Guardia palatina, i gentiluomini di Sua Santità, gli avvocati concistoriali, gli uditori della Romana Rota, i gendarmi pontifici, e poi i superiori degli ordini religiosi, gli abati generali, i prelati “nullius”, i vescovi, gli arcivescovi (ed è un fiume di mitre bianche che avanza ondeggiando), i patriarchi, i cardinali. In tutto oltre tremila dignitari della Chiesa cattolica. I padri conciliari, in quel giorno di apertura, sono 2.381. Tra essi il più anziano è mons. Alfonso Carinci. Centenario, è nato nel 1862, da bambino aveva cantato nel coro della cappella Sistina durante il Concilio Vaticano I. Assenti perché impediti a intervenire molti vescovi dell’Est europeo e della Cina (presenti solo i 44 espulsi dalle autorità cinesi) e i presuli della Corea e del Vietnam del Nord. Tra le assenze spiccano quelle del card. Mindszenty primate d’Ungheria e del metropolita degli Ucraini Jozef Slipyi. Giovanni XXIII ha rinunciato alla tiara per indossare anch’egli la mitra, vescovo tra i vescovi, e ha voluto compiere il primo tratto a piedi per poi salire sulla sedia gestatoria in modo da essere visto dalla moltitudine di fedeli che affolla la piazza. È scortato dalle guardie nobili e dalle guardie svizzere, dai sediari e dai mazzieri nel loro caratteristico costume. La banda della Guardia palatina intona l’inno papale quando il corteo fa il suo ingresso nella basilica di San Pietro gremita all’inverosimile. Solo di delegazioni estere – quella italiana con a capo il presidente della Repubblica Antonio Segni – ne sono presenti 85. E poi invitati d’onore, rappresentanti di istituzioni internazionali, oltre mille giornalisti, 44 osservatori delegati dalle Chiese separate d’Oriente e dalle comunità protestanti. La Messa è celebrata dal cardinale decano Eugenio Tisserant, mentre la Cappella Sistina esegue il “Tu es Petrus” ed altre musiche del Palestrina. Al termine della celebrazione il Papa indossa i paramenti sacri e riceve l’obbedienza da parte degli 81 cardinali presenti seguita dalla professione di fede scandita prima dal Pontefice quindi collegialmente dai padri conciliari. Si leva dall’assemblea l’antica preghiera dell’“Adsumus”, preghiera dell’unità nella verità di Dio e nella carità dei fratelli, invocazione di tutti i santi perché lo Spirito scenda sull’assise ecumenica e si degni di benedirla e governarla. Quindi l’allocuzione di Giovanni XXIII: “La Madre Chiesa si rallegra perché, per un dono speciale della Divina Provvidenza, è ormai sorto il giorno tanto desiderato nel quale qui, presso il sepolcro di san Pietro, auspice la Vergine Madre di Dio, di cui oggi si celebra con gioia la dignità materna, inizia solennemente il Concilio Ecumenico Vaticano II”. Il “sogno” di papa Giovanni, da quel primo annuncio del 25 gennaio 1959 in San Paolo, è diventato finalmente realtà e c’è nelle parole del Pontefice tutta quella carica di ottimismo e abbandono fiducioso a Dio, tipicamente giovannei, che lo portano a dire, in due distinti passaggi del discorso, che “illuminata dalla luce di questo Concilio …la Chiesa otterrà che gli uomini, le famiglie, le nazioni rivolgano davvero le menti alle realtà soprannaturali”, e a dissentire da coloro che definisce “profeti di sventura”, i quali “annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo”. Quella giornata dell’11 ottobre di cinquanta anni fa non era finita. Al tramonto, sul calar delle tenebre, una grande fiaccolata, in forma di croce, prende vita in piazza San Pietro e si estende e si accresce grazie ad altri “fuochi” convergenti da piazze e viuzze adiacenti e soprattutto da via della Conciliazione. A organizzarla è stata l’Azione cattolica romana insieme con altre associazioni cattoliche. In quell’atmosfera fiabesca e quasi irreale il Papa appare nella “sua” finestra e pronuncerà quelle parole rimaste famose, omaggio francescano alla luna che si è affacciata anch’essa nel cielo “a festeggiare l’avvenimento” e pensiero premuroso per chi è giù, nella piazza, e per chi è rimasto a casa: “Ora farete bene a rincasare, la serata è fredda. Ma tornando a casa, fate una carezza ai vostri bambini e dite loro che è la carezza del Papa…”.Parole semplici, dettate dal cuore, come un padre o un nonno particolarmente affettuosi potrebbero fare, ma straordinarie. E perciò rimaste nella memoria collettiva ed entrate anch’esse, a buon diritto, insieme ai discorsi più importanti e alle risoluzioni, nella storia del Concilio Vaticano II.