Lampedusa: un pò tutti responsabili

Lampedusa – Veniteci a prendere, siamo un centinaio su un barcone a poca distanza da Lampedusa, stiamo affondando…”, con questa telefonata ai Carabinieri si è registrata l’ennesima tragedia del mare al largo delle coste di Lampedusa. Cinquantasei superstiti, un numero imprecisato di dispersi, due cadaveri restituiti da quel mare Mediterraneo che, ancora una volta, ha trasformato i sogni e la speranza di un futuro migliore nel loro peggiore incubo e per alcuni nella loro tomba.  I superstiti, tra i quali anche una donna incinta al nono mese, hanno dichiarato di essere di nazionalità tunisina e di essere partiti dalle coste dello stato africano, sostanzialmente hanno confermato la stessa versione: il barcone è affondato in pochi minuti. Sul quel “pezzo di legno” vecchio e fatiscente lungo una decina di metri viaggiavano, stando alle loro dichiarazioni, oltre un centinaio di migranti. Molti di loro potrebbero essere rimasti intrappolati all’interno dello scafo.  La Procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta sul naufragio. Al momento il barcone non è stato trovato, né resti che farebbero pensare ad un affondamento. Per tale motivo la ricostruzione fornita dai superstiti, è ancora al vaglio degli inquirenti che ipotizzano anche un altro scenario, con i migranti gettati in mare dagli scafisti – non sarebbe la prima volta – al largo di Lampione, un isolotto disabitato a dieci miglia da Lampedusa. Anche il conteggio delle persone a bordo è incerto. Di certo ci sono due migranti morti e cinquantasei superstiti tratti in salvo. Dei dispersi nessuna traccia. Secondo i superstiti sarebbero almeno sessanta, forse di più, tra essi anche un bambino di 5 anni, fratello di Wafa, la donna incinta tratta in salvo e al suo secondo “viaggio della speranza”, dopo che lo scorso anno arrivata a Lampedusa era stata rimpatriata. Questo naufragio è l’ultimo in ordine temporale, altri sbarchi hanno segnato le cronache dell’estate che ci lasciamo alle spalle non solo a Lampedusa, ma anche sulle coste della Sicilia, Calabria e Puglia, tutte con un denominatore comune: la fuga dal proprio Paese per un futuro migliore affidata purtroppo a bande di criminali che, il più delle volte, utilizzando imbarcazioni fatiscenti riempite al massimo del “carico umano”, donne e bambini compresi, sfidano il mare a rischio anche della vita. Anche se, rispetto ai dati degli anni passati, siamo in presenza di un fenomeno ridotto tuttavia esiste – così come ha denunciato la portavoce dell’Alto commissariato per i rifugiati dell’Onu (Acnur), Laura Boldrini – un’emergenza non sul fronte degli sbarchi “ma un’emergenza per le troppe morti nel Mediterraneo” che “restano molte e che si potrebbero arginare”. Boldrini senza mezzi termini ha parlato anche di una “responsabilità collettiva legata all’indifferenza e al considerare tutto ciò ineluttabile, anziché cercare soluzioni concrete per evitare che ciò si ripeta”.
 Significativo, anche, l’appello lanciato dal sindaco di Lampedusa, Giusy Nicolini: “Non dobbiamo mai abituarci a questi drammi, all’idea che ancora oggi attraversare il Mediterraneo in cerca di un lavoro e di una vita dignitosa diventi per migliaia di uomini e donne una roulette russa”. E per mons. Montenegro, arcivescovo di Agrigento, “lascia basiti vedere che queste esistenze vengano poi considerate dalla stampa, dalla gente comune, soltanto dei numeri. Di queste morti – ha detto – siamo un po’ tutti responsabili a causa della nostra indifferenza, del nostro andare contro ad un loro futuro migliore, del vivere accanto a loro sopportandoli. L’uomo non può morire perché vuole vivere”. Il rischio più grande è quello di archiviare in modo sbrigativo queste tragedie salvo poi riparlarne a fine anno o in occasione della prossima tragedia per stilare statistiche ed elaborare grafici. Urge, invece, riaccendere i riflettori e fare pressione sulle autorità nazionali e internazionali perché facciano ogni sforzo, nell’immediato per rinforzare gli interventi di prevenzione e di sicurezza in mare, per esempio iniziando a revocare la dichiarazione di “porto non sicuro” per Lampedusa, ma anche in prospettiva provando ad elaborare una politica europea comune su questi temi. Il fenomeno è più grande di Lampedusa e dell’Italia e interessa l’Europa tutta. “L’importante – come ha detto in un’intervista il premier Mario Monti – è porsi questi problemi e non far finta di non vederli o ritenersi un po’ moralmente assolti perché abbiamo problemi più gravi che riguardano noi, i nostri lavoratori e i nostri disoccupati”. (C. Petrone – direttore “L’Amico del Popolo” – Agrigento)