Basilea – Il panorama religioso della Svizzera è sottoposto ad un profondo processo di trasformazione, che si ripercuote a diversi livelli della società. Principali tendenze sono il crescente pluralismo e individualismo nelle credenze e nelle pratiche religiose, la secolarizzazione, cioè la perdita di rilevanza della religione per la vita personale e per la società e l’apparire di nuove religioni, portate dagli immigrati dei vari continenti oppure diffuse attraverso i mezzi di comunicazione. Aumenta soprattutto il numero di coloro che sono distanti da ogni forma religiosa istituzionalizzata.
Questi cambiamenti pongono allo Stato e alla società nuove sfide e domande sul piano politico, amministrativo, educativo e giuridico. Per meglio conoscere e, quindi, rispondere in modo corretto alle problematiche emergenti, su mandato della Confederazione è stato avviato nel 2007 il Programma nazionale di ricerca denominato “Comunità religiose, Stato e società” (PNR 58) comprendente 28 progetti. Dopo diversi anni di lavoro, è stata ora pubblicata una sintesi dei risultati, accompagnata da raccomandazioni per i responsabili della politica, delle istituzioni e della società civile. Il testo porta il titolo: “Religioni, Stato e società. La Svizzera tra secolarizzazione e molteplicità religiosa” (Religionen, Staat und Gesellschaft. Die Schweiz zwischen Säkularisierung und religiöser Vielfalt) a cura di Christoph Bochinger. Considerando i 28 progetti di ricerca che compongono questa panoramica, non può sfuggire la grande attenzione prestata agli immigrati e alle loro comunità, che contribuiscono decisamente alla crescente pluralità religiosa, ma sembrano anch’essi soggetti a lungo andare agli stessi processi di cambiamento che coinvolgono gli svizzeri. Gli autori, infatti, ritengono di poter affermare che la tesi di un “ritorno della religione” trovi riscontro più che altro all’interno del dibattito pubblico e nei media, ma non nell’ambito della sfera personale. Benché la politica si occupi più di frequente di temi religiosi, spesso a motivo di conflitti o di nuove sfide poste dalle comunità degli immigrati (costruzione di edifici per il culto, segni religiosi visibili nell’abbigliamento, circoncisione, nuove forme di sepoltura), le indagini confermano la perdita di importanza della religione per la vita quotidiana: non vi è un rifiuto netto, ma un atteggiamento di distanza. La deinstituzionalizzazione, cioè la tendenza ad una religione fai-da-te staccata dalle norme tradizionali di un gruppo religioso, non riguarda solo i cristiani, ma tutte le comunità presenti in Svizzera. Certo è evidente che la pratica religiosa degli immigrati è più forte rispetto a quella degli autoctoni, ma essa appare talvolta connessa alla funzione di sostegno e di socializzazione che le comunità religiose hanno per chi si trova all’estero. Anche tra i figli degli immigrati la religione viene vissuta in modo più individualistico e meno legato a istituzioni e norme, rispetto ai loro genitori. Vengono messe in atto delle strategie di adattamento della propria tradizione religiosa all’ambiente in cui si vive che portano ad una varietà di comportamenti.
Va sottolineato che alcuni gruppi sono in controtendenza: presentano un’elevata partecipazione religiosa e una crescita degli aderenti. Li troviamo in tutte le religioni: ebrei ultraortodossi, alcune chiese cristiane libere o carismatiche, diversi gruppi tra gli immigrati musulmani, gli indù tamil e i cristiani dall’Africa e dall’Asia. Tuttavia il loro peso numerico è piuttosto ridotto. Si può affermare che vi è una fascia di persone che manifesta una forte ricerca di spiritualità. Essa trova risposte in nuove forme di religiosità all’interno o all’esterno delle confessioni tradizionali. Nell’insieme, però, il numero di queste persone è inferiore a quello delle persone che si distanziano dalle religioni. Il quadro presentato dal PNR 58 è molto ricco e complesso e merita sicuramente ulteriori approfondimenti. Le scienze sociali offrono importanti strumenti per la comprensione di ciò che avviene intorno a noi. D’altra parte, come ha affermato il politologo francese Olivier Roy in un’intervista a Swissinfo, esse non possono totalmente capire l’esperienza religiosa delle persone.
Un dato comunque interessante che emerge dagli studi è che la crescita quantitativa di certe comunità religiose in Svizzera non è determinata dalle loro strutture e dal riconoscimento pubblico, quanto da tre fattori: slancio missionario, immigrazione di nuovi membri dall’estero e capacità di trasmettere il proprio credo da una generazione all’altra. Anche per la chiesa cattolica i dati di questo studio possono essere una conferma che evangelizzazione, cura pastorale dei migranti e dei giovani sono strade di futuro. (Luisa Deponti/CSERPE)


