Terremoto in Emilia: una testimonianza dalla Migrantes di Carpi

Carpi – Il 20 e il 29 maggio 2012 sono due date che rimarranno per sempre impresse nelle menti e nei cuori di tutti noi.

 Nella tiepida e calma notte di un sabato primaverile, le nostre vite sono state per sempre cambiate da un sisma che in 30 secondi ha ricordato a tutti noi, nessuno escluso, la caducità della vita e l’impotenza dell’uomo di fronte alle forze della natura.
Questo terremoto lascia ferite profondissime in tutto e in tutti, nei nostri edifici, nelle nostre chiese, nelle nostre case, nell’intimità delle nostre vite, nei nostri cuori e nelle nostre menti.
Alcune crepe potranno essere riparate con il tempo, altre invece rimarranno aperte per molto tempo, forse per sempre. Crepe che ci parlano di noi e della nostra società, della nostra storia recente, dei nostri errori e dei nostri successi. In ognuna di esse si legge un pezzo della nostra storia, ognuna di esse testimonia il dolore di una famiglia, di una comunità intera.
Qualche giorno fa un amico ingegnere ispezionando la nostra casa profondamente lesionata ha detto una frase che mi ha colpito particolarmente: il terremoto ha messo in luce le debolezze di questa struttura.
Forse è davvero così, forse davvero questo sisma ha messo in luce le debolezze delle “nostra” struttura e della nostra società. Una società che fino a qualche giorno fa lavorava quotidianamente per accorciare le tante piccole e grandi distanze che separano le sue diverse identità, quelle identità che oggi si trovano tutte quante insieme nelle tende sorte come tante piccole città nelle vie e nei campi sportivi dei nostri paesi.
L’identità, forse il vero tema che la nostra società si trova oggi a dovere affrontare, la vera sfida da non perdere. Girando per il campo allestito dalla Protezione Civile nello stadio del paese (Novi di Modena) sono infiniti i volti e le identità che si riconoscono. In larga parte stranieri: pakistani, indiani, marocchini e cinesi, coloro che per mancanza di denaro hanno piano piano popolato le antiche case dei nostri centri storici, i condomini degli anni ’60 in cui noi non volevamo più abitare, le case di campagna abbandonate e i ruderi sparsi qua e là nella nostra pianura emiliana, i poveri di oggi, coloro a cui il sisma ha tolto più che ad ogni altra persona anche perché spesso, per molti di loro, oltre la casa oggi non c’è più nemmeno il posto di lavoro e così la possibilità di vivere di nuovo.
Il 30 maggio, il giorno dopo il sisma, quando ancora il campo tende era in allestimento già si presentavano i primi Imam delle comunità religiose di Bologna e dell’Emilia occidentale per sostenere i fratelli colpiti dal sisma con la preghiera comunitaria. Rimane impressa in me una scena nel tramonto del 29 maggio in cui mentre da un lato i volontari montano le tende dell’accampamento, dall’altra parte, rivolti verso est, i fedeli musulmani intonano le preghiere della sera inginocchiati a terra.
“Il Signore ama il suo popolo” recita il Salmo 149, e il Suo popolo nella difficoltà si rifugia in Lui. Gli animatori dell’Azione Cattolica si mettono in moto e girano per i campi spontanei a cercare i ragazzi e giovani per animare i pomeriggi ed insieme superare il trauma. I sacerdoti aprono le chiese e gli oratori alle tende dei senza tetto ed ecco si assiste così ad una Messa recitata sotto un gazebo in mezzo ad una tendopoli in cui i cristiani raccolti in preghiera partecipano all’Eucaristia e i musulmani ai lati osservano con rispetto e silenzio mentre preparano la cena.
I nostri sacerdoti, eroici, si prendono sulle spalle i bisogni di tutte quelle persone che per un motivo o per l’altro non trovano riparo nelle tende della Protezione Civile, senza riserbo di energie si spendono tra le gente per offrire tende, materassini, abiti, cibo e bevande che giorno dopo giorno iniziano ad affluire dai tanti donatori e benefattori di tutta Italia.
Passando per uno di questi campi, assistendo alla Messa, mi sovviene di nuovo quella parola: “identità”. Parola che prima del sisma indicava così tante cose e che oggi sembra identificare un solo unico popolo, il popolo di Dio.
Forse proprio da questa parola deve ripartire la ricostruzione, perché un territorio in cui è scomparso tutto: 44 delle 47 chiese delle Diocesi di Carpi sono inagibili, decine di migliaia di sfollati, centinaia di imprese chiuse o inagibili e la frase, il pensiero, che serpeggia nelle menti di tutti: “Lasciamo e andiamo via o rimaniamo qui?”. Questa domanda logora e piega gli animi e ad ogni scossa si fa sempre più forte.
La risposta, vogliamo pensare, è però in quella parola: identità. Questa terra che d’identità ne ha e ne ha avute tante nel tempo, oggi deve ricominciare proprio dalla costruzione della sua identità primaria: l’essere popolo di Dio. Le chiese hanno sopportato i danni maggiori di questo sisma, un sacerdote ha perso la vita sotto il crollo della sua chiesa a ricordarci che il vero tempio di Dio sono proprio le nostre vite, i nostri corpi. E allora è questo il primo tempio che deve essere ricostruito, quello in cui abita lo Spirito Santo, quello in cui il Signore trova dimora ogni giorno. Il tempio che è nei volti di tutti i bisognosi e che in questo momento di dolore e di prova ci ricorda che la vita può spezzarsi così come le case in un attimo, ma l’amore di Dio dura per sempre. L’amore di Dio si respira nei gesti e nelle parole di tutte quelle persone che nonostante le difficoltà stanno facendo di tutto per non perderla quell’identità. I campi estivi parrocchiali si faranno comunque, i campi gioco a breve cominceranno, gli educatori e gli animatori continuano la loro quotidiana opera di sostegno alle persone e ai bisognosi, la preghiera ci unisce continuamente ai fratelli, e sono tanti, che ci sono vicini nelle zone di tutta Italia, le nostre Messe celebrate all’aperto ci ricordano che Gesù è qui con noi per aiutarci a continuare a camminare, per rinnovare la nostra missione e il nostro impegno nel servire i fratelli con le nostre vite. La Chiesa c’è ancora e così il suo popolo.
Il vice parroco di San Giuseppe, don Xavier, viene dall’India è qui con noi da tanti anni e su Facebook la notte del 20 pochi minuti dopo i terremoto scrive: “Waking up in the morning with an Earthquake!!”. Un amico dall’India chiede maggiori notizie, invoca il suo ritorno in patria per stare al sicuro, ma lui risponde che il suo posto ora è qui, con chi ha bisogno. Non servono molti altri esempi,da questo maledetto sisma forse un piccolo miracolo il Signore lo ha già fatto riducendo le distanze di lingua e nazionalità che prima ci separavano e facendoci sentire per la prima volta tutti quanti fratelli e figli dello stesso Padre. (M. Fiorentini – Commissione Migrantes Carpi)