Rifugiati: a Roma 1500 vivono in strada

Roma – Solo a Roma vivono in “insediamenti spontanei”, in condizioni abitative al di sotto di ogni standard igienico, sanitario e di sicurezza, tra i 1200 e i 1500 richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale. A Firenze circa 150. Molti abitano lì dagli sbarchi del 2008. E si rischia un aumento ulteriore di migranti che vivranno in strada quando usciranno dall’accoglienza le decine di migliaia di persone sbarcate lo scorso anno da Tunisia e Libia. È quanto emerge dalla ricerca – presentata oggi a Roma – co-finanziata dal Fondo Europeo per i Rifugiati 2008-2013 e promossa dalla Crs-Caritas di Roma in partenariato con l’Associazione Centro Astalli di Roma, la Solidarietà Caritas Onlus di Firenze e la Fondazione Caritas Ambrosiana di Milano, nell’ambito del progetto “Mediazioni Metropolitane. Studio e sperimentazione di un modello di dialogo e intervento a favore dei richiedenti e titolari di protezione internazionale in situazione di marginalità”. Sono stati intervistati 520 richiedenti e titolari di protezione internazionale in 8 insediamenti spontanei a Roma, Milano e Firenze. Il 75% degli intervistati è titolare di protezione internazionale e l’11,3% ha ottenuto la protezione umanitaria. Tutti esprimono una “profonda mancanza di fiducia” nei confronti di uno Stato che “commette ingiustizie” e non riesce a “garantire ai rifugiati gli stessi diritti che hanno negli altri Paesi europei”.

 
“Attualmente il sistema di accoglienza italiano – rileva la ricerca – di fatto non garantisce un’adeguata accoglienza a tutti coloro che ne avrebbero diritto: troppo disomogenee sono le misure messe in campo, troppo episodici e parziali gli interventi per l’integrazione. I posti disponibili sono vistosamente insufficienti, la capacità di finanziare percorsi individuali e mirati di sostegno all’integrazione è limitata rispetto alla domanda”. Si suggerisce di puntare soprattutto sulle misure che favoriscano l’inclusione lavorativa (oltre l’88% degli intervistati attualmente non è occupato) e la formazione (il 42% conosce troppo poco la lingua italiana), oltre a “ristabilire un dialogo con queste persone, ricostruire il rapporto di fiducia indispensabile alla riuscita di qualunque percorso”. L’emergenza Nord Africa dello scorso anno e le risposte messe in campo sono, secondo i promotori della ricerca, “un’occasione per dotare l’Italia di un Sistema di accoglienza capace di risposte sufficienti per tutti quelli che richiedono protezione”. La proposta è che i posti in accoglienza attivati con i fondi della Protezione Civile “non vengano dismessi, ma contribuiscano a costituire, insieme ai progetti Sprar e a quelli delle città metropolitane, un unico Sistema nazionale di accoglienza capace di ospitare 25-30.000 persone contemporaneamente”, affiancato da un monitoraggio nazionale dei percorsi sociali. (SIR)