Nuova evangelizzazione: le famiglie migranti diventino soggetti attivi

Milano – È la famiglia la prima “vittima” del fenomeno migratorio, eppure essa è anche il primo soggetto interlocutore con i governi dei Paesi di accoglienza per l’estensione di nuove leggi per la tutela dei migranti. Anche se in realtà in Italia ancora non si è compresa la necessità di nuove norme pensate “per i cittadini che non sono nati nel nostro Paese, come ad esempio nuove leggi per la cittadinanza”. Queste parole di don Giancarlo Quadri, responsabile della pastorale dei migranti – Migrantes – dell’arcidiocesi di Milano, ieri, hanno aperto il dibattito sul tema “Il fenomeno migratorio e la famiglia” svoltosi nell’ambito del Congresso teologico pastorale del VII Incontro mondiale delle famiglie in corso nel capoluogo lombardo. Un momento di confronto in cui ci si è soffermati sulle sfide poste ai nuclei familiari toccati da una storia di migrazione. Su questo fronte la Chiesa è chiamata prima di tutto a offrire uno spazio di accoglienza e di accompagnamento e poi a trasformare queste famiglie in soggetti attivi della nuova evangelizzazione. Un appello condiviso dai due vescovi intervenuti al dibattito: mons. Gilbert Garcera, pastore della diocesi di Daet, nelle Filippine, e mons. Nicholas Di Marzio, vescovo di origini campane alla guida della diocesi di Brooklyn a New York.

 
Garcera, in particolare, si è soffermato sulle conseguenze per le famiglie che vivono il fenomeno migratorio sulla loro pelle: “Anche se i benefici esistono non si possono ignorare, ad esempio, le ferite affettive che il fatto di avere un genitore lontano provoca nei figli”. Tuttavia, ha sottolineato il vescovo, questo fenomeno rappresenta anche un’opportunità: “Le migrazioni – ha notato – sono l’occasione anche per la promozione dell’evangelizzazione. Ai filippini, in particolare, gli ultimi pontefici hanno riconosciuto una speciale missione nella testimonianza del Vangelo”.
“Esistono criteri di valutazione per capire se le persone immigrate sono integrate nel Paese che le ospita – ha notato da parte sua Di Marzio – ed essi hanno validità non solo da un punto vista sociologico ma anche ecclesiale. Se la prima forma di integrazione è quella di contribuire alla forza lavoro, ad esempio, nella Chiesa essa corrisponde alla partecipazione alla Messa e alla vita sacramentale». Compito della comunità cristiana, allora, è creare “uno spazio di accoglienza che permetta alle famiglie di crescere e diventare protagoniste attive nella società”. Di Marzio ha poi proposto un video in cui diverse coppie della sua diocesi, pakistane, filippine, polacche, italiane, raccontano il ruolo che gioca la fede e la vita pastorale nel loro cammino d’integrazione.
Testimonianze dal vivo, infine, hanno chiuso la tavola rotonda: i coniugi peruviani Felix e Carmen Juarez e i filippini Fernando e Bernadette Gomez hanno narrato la loro esperienza d’immigrazione a Milano. Con un tratto comune: per tutti la fede – e le relazioni familiari – è stata la forza che ha permesso loro di superare le enormi difficoltà incontrate e di trovare le risorse per mettersi al servizio degli altri nella vita pastorale della città. (M. Liut – Avvenire)