Mons. Crociata: una comunità attenta alle persone migranti è una comunità che investe sul futuro

Roma – “La coniugazione tra salute e migrazione è di particolare interesse in vista dei processi di integrazione e di costruzione del bene comune”. E’ quanto ha detto questa mattina il segretario della Cei, mons. Mariano Crociata, aprendo i lavori del seminario “Quale cura per la mobilità?”, promosso dall’Ufficio Nazionale per la pastorale della sanità della Cei e dalla Fondazione “Migrantes” e in corso a Roma.
“Se poi pensiamo che la maggior parte degli immigrati ha vissuto un periodo nell’irregolarità e nella paura, attraversando situazioni di sofferenza fisica e mentale senza possibilità di poterla condividere – ha detto mons. Crociata – ci accorgiamo che sul tema della cura e dell’ospitalità sono in questione i fondamenti stessi della nostra umanità e gli apporti decisivi che la fede cristiana ha dato alla nostra civiltà. La nostra coscienza di credenti non può restare indifferente rispetto alle persone in condizione di maggiore fragilità, ma è chiamata a farsene carico e a prendersene cura”.
Il segretario generale della Cei ha sottolineato alcune problematiche come la tutela del diritto alla salute mediante l’accesso ai servizi. I dati provenienti dai medici di famiglia “ci ricordano la lentezza con cui gli immigrati accedono ai servizi sanitari, anche dopo aver ottenuto un titolo di soggiorno. La mancata conoscenza delle istituzioni, l’ignoranza della lingua, la diffidenza naturale portano spesso anche gli immigrati regolari a non avvalersi del medico di famiglia e dei servizi. Questo richiede – ha sottolineato – un accompagnamento che può essere facilitato da un lavoro di rete sociale e sanitaria. Un simile accompagnamento esige di essere ulteriormente rafforzato nei confronti delle persone irregolari presenti sul territorio del nostro Paese e che, comunque, hanno diritto alla tutela della salute”.
Un secondo aspetto – ha detto poi Crociata – interessa l’attenzione ai servizi di salute mentale: “la partenza dalla propria terra, l’abbandono della casa, l’arrivo in un Paese diverso, lo stile di vita differente, la nascita e la crescita in una cultura diversa da quella dei genitori, la mancanza di figure parentali fondamentali le forme di violenza manifesta o subdola, unita a discriminazioni, portano spesso con sé problematiche e patologie gravi sul piano della salute mentale”. Un terzo aspetto richiama – ha aggiunto ancora – l’attenzione alla tutela della vita e alla maternità. I dati drammatici degli aborti e del consumo di ‘pillole del giorno dopo’ da parte di donne migranti indicano come spesso esse non siano supportate e tutelate nell’affrontare una gravidanza. Uno degli indicatori più importanti dell’efficacia nella tutela della salute di una nazione è proprio la cura della maternità e della vita nascente”.
“I gesti della cura e la cultura dell’ospitalità – ha detto ancora mons. Crociata – dicono la qualità delle relazioni di prossimità di una comunità e costruiscono percorsi educativi. Una comunità attenta alle persone migranti e ai problemi connessi alla mobilità umana è una comunità che investe sul futuro, che sa donare e ricevere speranza, che si arricchisce e si sviluppa spiritualmente, moralmente e anche economicamente. La cura rende ospitale la città e la città ospitale rende utili e proficui i gesti di cura. L’ascolto, la conoscenza e la prossimità ai bisogni e alle fragilità caratterizzano la città ospitale e, d’altra parte, in una città ospitale, ogni cura acquista efficacia più ampia producendo valore aggiunto. Come Chiesa, fedeli al mandato di Cristo Euntes curate infirmos, riprendiamoci il compito di educare all’ospitalità e alla cura, condizioni irrinunciabili di una cittadinanza inclusiva e di vera giustizia sociale, nonché vie efficaci di evangelizzazione”.