Ottawa – Una storia dell’emigrazione italiana non solo rappresentata da dati e statistiche ma dove i protagonisti sono le vicende private, i ricordi impressi nella memoria di bambino, i sentimenti e le emozioni che accompagnano le lettere scritte all’uomo che si ama e al marito che ha lasciato il proprio Paese per cercare lavoro e fortuna oltreoceano. Tutto questo impresso e ripreso dalle telecamere del cinema, con un occhio attento a registrare ed interpretare i fenomeni sociali dell’emigrazione italiana del periodo pre e postbellico della Seconda guerra mondiale. Questi i temi trattati nella Conferenza dedicata all’emigrazione italiana nel mondo, con uno sguardo particolare al Canada, che si è tenuta a Ottawa lo scorso 29 novembre. L’evento è stato realizzato in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia ad Ottawa e rientra, come ricordato dall’Ambasciatore Andrea Meloni nel suo intervento introduttivo, nel quadro delle celebrazioni del 150mo anniversario dell’Unità d’Italia; “in Canada, come in altre terre di immigrazione del popolo italiano, la rievocazione di quell’evento è molto sentito non solo nei grandi agglomerati urbani come Toronto o Montreal, ma anche nei piccoli centri – ad esempio Kelowna in British Columbia – dove si celebra quotidianamente la ‘memoria dell’italianità’ attraverso l’intensa attività delle associazioni locali italiane”.
L’anniversario della riunificazione dell’Italia segna anche l’inizio del grande esodo della popolazione, specialmente dal sud del Paese, verso luoghi dove poter trovare lavoro e “fare fortuna”. Iniziano i viaggi verso Paesi di cui a malapena si riusciva a pronunciare il nome, lasciando spesso a casa moglie e figli. È il miraggio del nuovo mondo. È un lasciarsi alle spalle la povertà delle proprie terre. Una delle mete preferite – dopo l’Europa – è la “Merica” (gli Stati Uniti) e quindi anche il Canada. Ma questi sacrifici, il duro lavoro e il grande coraggio che hanno caratterizzato le comunità protagoniste della diaspora italiana del secolo scorso – ha ricordato nel suo intervento Josephine Palumbo, presidente della sede di Ottawa del Congresso nazionale degli Italo-canadesi (CNIC) – hanno portato ad un’immagine condivisa molto positiva di un popolo italiano riconosciuto come “nation builders” non solo in campo economico, ma anche sociale e culturale e dove, come è accaduto in Canada, gli italiani occupano posizioni professionali altamente qualificate e di grande responsabilità sociale.
La Conferenza è stata organizzata con il sostegno del CNIC e della Società Dante Alighieri e si è svolta presso la Faculty of Arts and Social Sciences dell’Università Carleton di Ottawa e questo ha favorito un’ampia partecipazione di studenti dei Dipartimenti di italianistica dello stesso ateneo e della Ottawa University. “Solo una minoranza degli studenti era di origine italiana – come ha tenuto a sottolineare il Consigliere dell’Ambasciata, Giovanni De Vita – e numerose sono state le loro domande a testimonianza dell’interesse dei giovani per il tema della conferenza”. Il dibattito, moderato dal Consigliere De Vita, si è svolto subito dopo la proiezione di due brevi documentari predisposti dal Museo nazionale dell’emigrazione italiana e raccolti in collaborazione con Cinecittà Luce e con Teche Rai, che hanno raccontato l’esodo di circa 30 milioni di italiani che in 150 anni, da quando cioè l’Italia è diventata una nazione politicamente unificata, sono emigrati nel mondo. Questi emigranti tuttavia, non sono solo numeri ma hanno dei volti, delle storie personali che testimoniano ancora una volta i sacrifici e il loro coraggio nell’affrontare momenti drammatici come quello raccontato dal prof. Vincenzo Sacco, sociologo-criminologo della Queens University, che ha condiviso con i presenti l’esperienza della propria famiglia nel superamento delle difficoltà create dalla legge sull’internamento degli italiani in Canada nel 1941, oppure come quello testimoniato dalle lettere d’amore degli emigranti, presentate dalla ricercatrice Sonia Cancian dell’Università Concordia di Montreal.
Nella seconda parte della Conferenza è stato proiettato un altro documentario intitolato “Testimonianze di emigrazione. Il cinema italiano” in cui il famoso regista Carlo Lizzani ha raccontato come la cinematografia italiana abbia affrontato nel secolo scorso il tema dell’emigrazione. Questo argomento è stato ripreso dal successivo intervento del prof. Donato Santeramo – Direttore del Dipartimento di italianistica della Queen’s University – che ha voluto rimarcare quanto sia complessa la trattazione del tema dell’emigrazione dovendo far necessariamente riferimento a differenti tipologie: quella degli italiani che restano in Patria ma che dal Sud Italia vanno a cercare lavoro e fortuna al Nord; quelli che emigrano in Europa; coloro che vanno oltreoceano e poi infine una tipologia di “emigrazione volontaria” relativa a coloro che lasciano l’Italia perché insoddisfatti e non costretti da necessità contingenti. Parlando del cinema italiano, il prof. Santeramo ha definito due filoni principali nei quali collocare la produzione cinematografica che ha riguardato il tema dell’emigrazione: il filone melanconico e quello drammatico. “Relativamente a quest’ultimo, nel film del 1960 Rocco e i suoi fratelli è possibile osservare come due nuclei dinamici opposti, la salvaguardia della propria identità e l’integrazione, alla fine si annullano a vicenda e quindi la volontà di non perdere le radici di questa famiglia, coincide con la disintegrazione della famiglia stessa. Nel film il conflitto tra Nord e Sud è presente ad ogni livello sia sociale, ma anche economico e culturale”. Nell’analisi e nella sua rapida carrellata su circa cinquanta anni di cinema italiano dedicato all’emigrazione, Donato Santeramo ha citato il film di Gianni Amelio Così ridevamo(1998) che rappresenta un esempio di come la discriminazione non sia solo un problema incontrato in terre lontane, ma anche all’interno dei confini nazionali. Con il film di Luigi Zampa del 1971 Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata “viene rappresentata un tipo di immigrazione dove manca la possibilità di identificarsi sia da parte degli spettatori sia da parte dei protagonisti e che rappresenta tutta una serie di falsità e di bugie a partire dal personaggio del protagonista interpretato da Alberto Sordi. A questo si affianca Bianco, rosso e Verdone, dove nel terzo episodio il protagonista interpreta il ruolo di un emigrato che torna a Matera dalla Germania e di lui Verdone tratteggia una vera e propria caricatura, anch’essa poco identificabile”. Con il finale del film Mediterraneo (1991) di Gabriele Salvatores, il prof. Santeramo ha voluto mostrare la tipologia di “emigrazione volontaria” rappresentata dal sergente Lorusso che, deluso dall’Italia del dopoguerra sceglie di ritornare sulla piccola isola dell’Egeo dove aveva vissuto il periodo bellico. “Il film, infatti, è stato dedicato a tutti quelli che stanno fuggendo”. Infine, riprendendo il titolo del suo intervento “Non esisto dunque sono: l’identità italiana nel mondo”, Donato Santeramo ha citato il film comico/drammatico Pane e cioccolata “dove appare evidente il conflitto di quella identità e di quel sentimento di “italianità” che non è possibile riconoscere a livello razionale e nel quale quindi non vogliamo o stentiamo a riconoscerci in quanto difficilmente percepibile. Tuttavia a livello irrazionale, metafisico c’è qualcosa dentro di noi che non mostriamo, ma che ci spinge verso il sentirci all’interno di un’identità nazionale, e che si manifesta inaspettatamente e involontariamente di fronte a determinati stimoli o situazioni esterne”. (Corriere Canadese)