Nando Orfei: “il circo, un sogno lungo una vita che non mi tradisce”

 
Novellara – “Il circo un sogno. Ho fatto tante cose, ho fatto l’attore per Fellini, ho fatto teatro, ma sono sempre tornato. Perché il circo non mi ha mai tradito». Lui è Nando Orfei, discendente di una dinastia di circensi che vanta origini antiche: è da 200 anni almeno che il nome degli Orfei è legato a quello del circo. Un nome che ha fama in tutto il mondo. Da una settimana, il suo tendone rosso svetta alla prima periferia di Novellara. Il successo è stato tale che hanno deciso si prorogare la partenza. “Rimaniamo fino a domenica, poi andremo a Sant’Ilario. E’ il ministero dello Spettacolo – spiega – che ci chiede di fare piccoli e grandi centri. E noi lo facciamo volentieri. Di rado, però, ci capita di decidere di rimanere più a lungo, ma Novellara ha un pubblico fantastico. Lo ringrazio e ringrazio anche il sindaco e tutta la comunità”.

 
Com’è oggi il pubblico del circo?
“Molto buono, ma questo dipende da quello che ci hanno lasciato in eredità i nostri nonni. Hanno sempre fatto bei circhi e noi nipoti godiamo dei frutti. Chi ci conosce sa che gli Orfei sono una garanzia di grandi spettacoli. Noi preferiamo privarci di un cappotto nuovo per dare al nostro circo grandi attrezzature, grandi numeri, grandi spettacoli. Non abbiamo mai tradito il pubblico: è la prima eredità dei nostri bisnonni. Per questo abbiamo successo: raccogliamo quello che abbiamo seminato”.
E com’è la vita del circense?
“Si soffre tanto. Si soffre il freddo, il vento, la neve. Ci sono viaggi interminabili. Però, la soddisfazione che dà il circo nessun mestiere al mondo la dà. E’ un’arte, l’arte che ha dato vita a tutte le altre forme di grande spettacolo. Io ho una fiducia immensa nel mio lavoro: è una grande passione. E ora il mio domatore di tigri è il migliore del mondo. Pensi, è un mio allievo, ma ha superato il maestro. Poi ho acrobati bulgari formidabili, che fanno cose incredibili. Ho sempre puntato alto, ho sempre creduto nel mio lavoro”.
Anche la sua è una storia straordinaria…
“Sono un domatore. Un’esperienza che quando smetti ringrazi il Signore perché ti è andata bene. E’ un lavoro pericolosissimo, ci vuole un dono di natura: saper capire l’animale, parlare con lui che non parla la tua stessa lingua. Ma devi fargli capire che gli vuoi bene, che è tuo amico. Non bisogna mai picchiarli. Io vengo dalla scuola di un grande domatore tedesco e da mio zio Orlando: mi hanno insegnato di non picchiarli mai, ma di trasmettere loro amicizia. Il nostro domatore Caveagna è un fenomeno, perché ha un dono di natura. Bisogna voler bene agli animali, sentirli come fratelli, figli”.
Da domatore le capitò, però, un gravissimo incidente..
“Un leone mi staccò mezzo braccio. Fu a Napoli, nel 1976. Ma fu l’errore di un mio guardiano, che lasciò aperta la gabbia e il leone uscì. Arrivò nel tendone dove c’erano tanti bambini. Avrebbe fatto una carneficina se non fossi intervenuto. Io che lavoravo vestito da gladiatore avevo in mano un pugnale da squalo e capendo quello che sarebbe potuto accadere mi misi in mezzo. Prima di morire, però, mi azzannò il braccio. Ho avuto la medaglia d’oro al valore civile dal sindaco di Napoli e dal presidente della Repubblica Pertini. Lo rifarei ancora”.
Il circo viene attaccato spesso per la presenza degli animali. Cosa risponde a questi attacchi?
“Che per noi gli animali sono come i nostri figli. Sbagliano ad attaccarci. Qui gli animali procreano, li facciamo lavorare con noi, la loro è un’esistenza occupata. Non è come allo zoo che sono sempre chiusi in gabbia. Devono venire a vederli”. (E. Pederzoli – Gazzetta di Reggio)