Mons. Perego: la mobilità chiede una nuova cultura

Roma – “Oggi il mondo non solo cambia, ma è in movimento”. E’ quanto ha detto questa mattina mons. Giancarlo Perego intervenendo al seminario “Chiesa e immigrazione”, promosso dalla Caritas Italiana. Di fronte a questo mondo che cambia e si muove insieme, “l’antica distinzione tra sedentario e nomade svanisce – ha aggiunto – perché in questo mondo che cambia è cambiata l’appartenenza: non si appartiene più al paese, alla città, alla regione allo Stato, neanche all’Europa: la vera appartenenza è al mondo ed è globale”.

 
Per mons. Perego la mobilità e il cambiamento chiedono “una nuova cultura, una cultura delle relazioni, dell’ascolto per imparare prima che per parlare, dell’incontro aperto alle sorprese delle persone, del dialogo che apre al confronto, della conoscenza che si apre all’amore. Solo così si salva l’identità, che è anzitutto mettere al centro la dignità propria e degli altri”.
“L’identità piena non è indietro – ha spiegato – anche se ovviamente siamo debitori del passato, del ‘già avvenuto’, – ma in avanti, come frutto di una serie di incontri, esperienze, relazioni. Pretendere di preservare l’identità dalla contaminazione vuol dire contribuire a distruggerla, perché la si costringerebbe all’isolamento e quindi all’insignificanza e alla consunzione. Al tempo stesso, la nostra salvezza è sempre a noi estranea, ‘è alloggiata altrove’. Non può alloggiare in noi: chiede la ricerca e l’incontro”.
Mons. Perego ha quindi indicato alcune piste pastorali: l’attenzione alla dignità di ogni persona migrante; la tutela dei diritti fondamentali e l’accompagnamento ai doveri della persona migrante, la preferenza per i poveri e gli ultimi, tra i migranti: i rifugiati, i profughi, i malati, i minori, i disoccupati…; l’attenzione a non distinguere ‘noi’ e ‘gli altri’, il ‘dentro’ e il ‘fuori’; la ricerca dell’incontro, di una intelligente relazione, interrelazione; la cultura del dialogo; il rispetto delle differenze, di lingue e culture diverse, a fondamento dell’unità; riconoscere prima di regolare le persone migranti; trovare il fratello nello straniero; trovare Dio nello straniero.
“La sfida più urgente anche sul piano pastorale è – ha poi sottolineato il direttore della Migrantes – imparare a convivere come diversi condividendo lo stesso territorio geografico e sociale; imparare a convivere senza distruggerci, senza ghettizzarci, senza disprezzarci, e neanche senza solo tollerarci. La debolezza culturale più rischiosa è cedere alle paure. Alla comunità cristiana è chiesto di diventare luogo educativo all’incontro”.