Firenze – Troppi luoghi comuni da sfatare. “Non è vero che l’immigrazione si porti dietro il problema della sicurezza, perché in realtà trasgrediscono quanto noi italiani. Non è vero che ci portino via il lavoro. Anzi ci portano benessere”. L’arcivescovo Riccardo Fontana, delegato della Conferenza Episcopale Toscana (CET) per il servizio della carità, parla chiaro. Sulla legislazione italiana ha un giudizio molto negativo. Dalla Legge Martelli, che “era sbagliata” e ha fatto sorgere i primi problemi fino alle politiche dei “respingimenti” senza dimenticare quella “norma fascista” che impedisce ad un sacerdote straniero di essere parroco. L’impressione – ha detto – è “che le norme siano fatte per creare attorno agli immigrati un problema”, anziché vederli come una “risorsa”. Presiedendo giovedì 27 ottobre a Firenze la presentazione a livello toscano del XXI Dossier statistico immigrazione, curato da Caritas e Migrantes, il vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro ha avuto parole di apprezzamento per la decisione della Regione Toscana di non concentrare gli immigrati provenienti da Lampedusa in un unico campo, ma di distribuirli a piccoli gruppi sul territorio, rivendicando la piena collaborazione data dalla Chiesa nelle cui strutture sono ospitati una buona metà dei 1.800 immigrati arrivati in questi mesi da Lampedusa. Ma ha anche lanciato un appello perché si trovi una soluzione normativa che permetta a questi ospiti temporanei di lavorare, o perlomeno di seguire corsi di formazione, anziché rimanere inoperosi e alle istituzione toscane ha chiesto politiche “integrate e di sistema” e non misure occasionali. Appello raccolto dal presidente della giunta regionale Enrico Rossi, che nel suo intervento ha ringraziato con calore le Chiese della Toscana e mons. Fontana in particolare “per il ruolo svolto nell’emergenza dei profughi tunisini” invitando tutti a “lavorare insieme”. Gli immigrati, che in Toscana sono il 10% della popolazione, ha sottolineato Rossi, “fanno il vino nel Chianti, conciano le pelli a Santa Croce sull’Arno, fanno gli abiti nel distretto pratese, assistono i nostri anziani. Sono una realtà strutturata che dà più di quello che riceve. Ma che è ancora priva di diritti”.
“Penso alla cittadinanza – ha proseguito – chi nasce deve averla, perché altrimenti rischiamo di avere ottomila bambini ogni anno che dovranno aspettare i 18 anni per diventare cittadini. Bisogna farli diventare subito cittadini italiani, educarli alle nostre leggi e alle nostre abitudini”. In secondo luogo, ha spiegato Rossi, i diritti politici: “Non si può tenere fuori una realtà del 10% dalle nostre assemblee democratiche, nei Comuni, nella Provincia, nella Regione. Ci sono due proposte di legge di iniziativa popolare, invito tutti i cittadini della Toscana a firmarle”.
La parte nazionale del Dossier è stata illustrata da una delle redattrici, Maria Paola Nanni, che ha sottolineato accanto ai numeri (siamo a 5 milioni di immigrati) le dinamiche in corso. Nonostante la forte crisi economica, riscontrabile nella diminuzione media del 25% delle retribuzioni dei lavoratori immigrati, nella diminuzione di acquisti di case e nel crollo delle “rimesse” all’estero (cioè i soldi mandati nei loro paesi di provenienza), gli immigrati crescono come numero e diventano sempre più una presenza stabile, che mette radici, come si può vedere anche dalla scuola. La situazione toscana non si discosta molto da quella nazionale, come ha sottolineato don Emanuele Morelli, direttore della Caritas di Pisa, che ha parlato di “immigrazione facile”, proveniente in buona parte dall’Europa, il che sfata l’altro luogo comune che ci sia in corso una sorta di “invasione islamica”. Tra i dati regionali, rielaborati da Francesco Paletti e Federico Russo, emerge non solo il +26 mila presenze nel 2010, ma quel dato che un bambino su quattro che nasce nella nostra regione ha la mamma straniera. Oggi quei bambini, quando raggiungono i 18 anni, rischiano di essere rispediti in paesi che neanche conoscono. In attesa che cambi la legislazione nazionale, come auspicato anche dalla Campagna “L’Italia sono anch’io” a cui aderisce la Caritas e la Migrantes, bisogna porsi il problema – ha concluso don Morelli – di quale futuro costruire insieme alle seconde generazioni di immigrati. (Toscana Oggi)