Washington – Prosegue negli Stati Uniti, seppure tra ostacoli, il processo volto a legalizzare la posizione di migliaia di immigrati irregolari, la maggior parte dei quali sono di giovane età e sperano pertanto di potersi costruire un futuro più sereno. Recentemente, con una decisione che è stata accolta con favore anche dai vescovi cattolici, le autorità governative federali hanno programmato un approfondito esame di tutte le posizioni relative a 300.000 immigrati privi di regolari documenti che potrebbero, dunque, essere inseriti in una nuova lista che autorizzerebbe loro a restare nel Paese. Come accennato, gran parte degli immigrati sono giovani al di sotto dei trent’anni di età, entrati illegalmente negli Stati Uniti prima di aver compiuto i quindici anni di età e che nel tempo, a seguito di una permanenza di oltre cinque anni, hanno conseguito anche un titolo di studio e, per tale motivo, aspirano a essere inseriti nel programma «Dream act».
Si tratta di una legge, ancora in discussione a livello federale, ma applicata in alcuni Stati in varie forme di benefici (soprattutto come contributi economici per il sostentamento agli studi), con la quale si concede la cittadinanza.
In una lettera a firma dell’arcivescovo di Los Angeles, José Horacio Gómez, che presiede il Committee on Migration della United States Conference of Catholic Bishops (Usccb), si plaude alla decisione del Department of Homeland Security (Dhs), sottolineando che «politiche compassionevoli possono al contempo contribuire al rispetto della legge federale sull’immigrazione e della dignità degli immigrati che vivono in mezzo a noi». In sostanza, il Dhs ha promosso la creazione di un gruppo di lavoro congiunto con il Department of Justice, che ha come obiettivo quello di «scremare» il numero degli immigrati irregolari a rischio di espulsione, eliminando dalla lista coloro che hanno commesso reati di non grave rilevanza per la sicurezza pubblica e coloro che non hanno commesso reati. Di conseguenza l’attività giudiziaria si concentrerebbe soltanto sui casi ritenuti meritevoli di espulsione, lasciando agli altri immigrati la possibilità di poter regolarizzare la propria presenza e attività sul territorio statunitense. Questo, peraltro, come auspicato più volte dagli stessi vescovi, agevolerebbe i ricongiungimenti familiari, restituendo alle persone l’amore e l’affetto dei propri cari. Il segretario Janet Napolitano, che dirige il Dhs, ha spiegato che le risorse dell’organismo governativo «devono continuare a essere focalizzate sulle massime priorità e che fare altrimenti significherebbe ostacolare la nostra missione per la pubblica sicurezza e deviare l’attenzione da quelle persone che pongono una reale minaccia».
Dall’episcopato si osserva anche che «la discrezionalità» delle autorità governative nell’individuazione delle persone ritenute idonee a poter rimanere sul territorio si dovrebbe basare su alcuni fattori essenziali, come l’età, la presenza di altri familiari, il periodo di tempo passato dall’arrivo nel Paese e il contributo dato alla comunità. Nella lettera indirizzata al Dhs, monsignor Gómez auspica poi, in conclusione, un’implementazione dell’iniziativa già adottata e una rapida applicazione delle politiche di riforma in tema d’immigrazione.
Una nuova legge federale sull’immigrazione è da tempo al centro delle necessità per il Paese indicate come prioritarie dai vescovi. In un altro intervento, l’arcivescovo di Los Angeles aveva infatti sottolineato che «la mancata attuazione della nuova legge provoca il moltiplicarsi di regolamentazioni da parte delle autorità locali». In diversi Stati, l’ultimo dei quali l’Alabama, sono state approvate leggi molto severe in materia. Uno stretto «giro di vite» che ha provocato anche la reazione del Governo federale, il quale ha deciso di denunciare sei Stati dove sono applicate misure di prevenzione e repressione eccessivamente severe: oltre all’Alabama, l’Arizona, lo Utah, la Georgia, l’Indiana e la Carolina del Sud. Queste leggi comportano serie difficoltà al punto che non si potrebbero neppure amministrare i sacramenti agli immigrati irregolari.
La Chiesa cattolica, ha puntualizzato l’arcivescovo di Los Angeles, «fornisce servizi pastorali e sociali a tutti, indipendentemente dal loro status. Il nostro mandato è di fornire la cura pastorale o l’aiuto sociale a tutti i figli di Dio. Lo Stato non può contravvenire a questo dovere, che i padri fondatori hanno chiaramente inserito nella nostra Costituzione». (L’Osservatore Romano)