Storie di migranti scritte sulla sabbia…

Niamey – “Chris è rimasto chiuso come un topo a Tripoli. Diceva che Misurata era molto bella, prima. E forse anche la sua vita in Costa d’Avorio. Suo padre è un Abron e lui parla il Koulango. Conosce Tanda e riconosce che gli ignami più buoni del paese sono quelli di Tambi. I proprietari sono Nafana e chi lavora sodo sono i Lobi. Disprezzati anche per questo e per essere bellicosi. Fanno le case a distanza anche per avere meno contatti di quelli che sono necessari. Anche nelle famiglie succede lo stesso. O nelle comunità. In Libia faceva l’imbianchino e aveva lavoro e soldi da spedire tramite amici del Mali, senza passare da Western Union. Specializzata in leciti ladrocini sulle spalle dei migranti. I libici lo disprezzavano e così facevano con la maggior parte dei neri. Lavorano come schiavi e a volte cercano di liberarsi. Imbarcandosi per affondare nel mare Nostro che tradisce il Pane nostro e si trasforma in Vergogna Nostra. E’ partito all’OIM che si premura ad aiutare i migranti per tornare a casa. L’Italia è tra i suoi principali finanziatori, dalla visita di Maroni dell’anno scorso. Chiuderanno l’ufficio di cooperazione italiana di Niamey e di altri paesi limitrofi. Non chiuderanno né le missioni che propagano le armi né quelle che tradiscono la pace.

 
Chris partirà tra non molto e portava solo una borsa degli anni trascorsi in Libia e dell’avventuroso viaggio che da Dirkou lo ha portato ad Agadez e poi a Niamey. Con gli occhi delusi dalla sabbia e dalla rabbia che lo fa sorridere perché lo prendevano per mercenario. E allora si nascondeva per intere settimane. E’ uscito allo scoperto solo per scappare grazie ad alcuni amici che l’hanno caricato di nascosto e fatto attraversare la Libia. E’ arrivato di nascosto e partirà per non nascondersi più.
Alla Sonef di Niamey, che trasporta passeggeri, stanotte dormiranno due nigeriani. Erano partiti pagando il viaggio che doveva portarli in Europa. Si sono visti sbarcare in Algeria e dopo essere stati derubati hanno chiesto di ritornare al paese. Olasukanni è nato a Lagos, in Nigeria nel 1984. L’anno di Orwell che parlava della riscrizione del passato nel presente. Veniva cancellato o modificato quanto avrebbe potuto intaccare il potere dominante. La neolingua serviva a manipolare la realtà. Le parole del potere servono proprio a questo e allora Olakusanni e il suo amico hanno scelto di dire l’unica parola che non conoscevano ancora. Partire lontano per vedere l’altro mondo e rischiare di vivere altrimenti. 1984 sembrava tanto lontano in quegli anni e poi si è fatto vicino. Neppure Orwell poteva immaginare quello che sarebbe successo dopo quella data. La storia si trova scritta sulla sabbia e solo la leggono coloro che camminano i deserti e i mari e i confini e i muri. Subito dopo la storia si cancella. Lui e il suo amico Joshua hanno attraversato il mare dei giunchi e il mar rosso di polvere. Erano sfiniti stamane raccontando l’avventura di Algeria e soprattutto il viaggio di un ritorno che non arrivava mai. Partono domattina alle quattro per Cotonou e di lì a Lagos, la capitale della follia economica nigeriana. Hanno lasciato l’indirizzo di posta elettronica per passare oltre le frontiere che la loro storia vorrebbe interrogare. Come il Giordano.
Dieudonné, Ayon, Bernard e Chrispol sono del Cameroun e hanno transitato dalla casa dei migranti sorta a Gao, in Mali. Richard era partito molti anni fa dal suo paese e parla della sua avventura. E’ passato in Senegal, Ghana, Costa d’Avorio e finalmente in Algeria dopo è stato imprigionato perché possessore di documenti falsi. Dopo quattro mesi di prigione è stato espulso e abbandonato nel deserto al confine col Mali. Si domanda come ha potuto sopravvivere al dolore della sete. Ha raggiunto la casa di Gao e poi di nuovo respinto alla frontiera col Niger. Attraversa il fiume in piroga e raggiunge Niamey passando da Tillabery per duemila ciquecento franchi africani. Alloggiano ancora per qualche giorno alla stazione del servizio viaggiatori della compagnia Sonef. Dopo aver spiegato al direttore della stazione, un giovane tuareg, che si trovavano senza casa. Li lascia accomodare ancora per qualche giono, fino al dieci, dicevano e poi dovranno cercarsi un altro posto dove passare la notte e forse anche il giorno. Torneranno a casa loro e Richard dice che vuole tornare al paese e mettere su famiglia. Ha trentadue anni e vorrebbe avere un figlio a cui raccontare la storia che ha scritto sulla sabbia”. (p. Mauro Armanino, Società Missioni africane – Agenzia Misna)