Ora Kate è salva

Milano – Quando le hanno detto che era libera, Kate ha sbattuto gli occhi stupita, ha accennato un sorriso. Poi se n’è uscita per i corridoi del Cie di Ponte Galeria, a Roma, e ha chiesto di telefonare in Calabria: «Mi hanno detto che posso andare – ha detto a Franco Corbelli, del Movimento diritti civili –. Che sono libera». Era convinta, fino a quel momento, d’essere stata trasferita in un altro carcere.

 
Pochi minuti dopo, in un comunicato del Garante dei detenuti del Lazio, la notizia ufficiale: e cioè che, in seguito all’udienza di martedì, la Commissione asilo che doveva valutare la richiesta della donna nigeriana di rimanere nel nostro Paese ha deciso di accettarla. Un’informazione “corretta”, più tardi, dal ministero dell’Interno, ma solo nella forma: «A Kate Omoregbe – ha spiegato il Viminale in una nota – è stato concesso un permesso di protezione umanitaria». Che significa, per intendersi, asilo “a tempo determinato”.
In ogni modo, si è conclusa nel migliore dei modi la vicenda della donna condannata alla lapidazione in Nigeria, che aveva commosso e mobilitato migliaia di persone nelle ultime settimane e che – grazie alla voce del Web, di Avvenire e di pochi altri media – era giunta all’orecchio della politica nazionale e internazionale, muovendo in poche ore associazioni, deputati, ministri e infine persino il Parlamento europeo.
«Oggi, ancora una volta, l’Italia ha dato prova di essere un Paese in pri¬ma linea nella lotta per il rispetto dei diritti fondamentali, tra questi, in particolare, la tutela della vita e il rispetto della donna», hanno commentato il ministro degli Esteri Franco Frattini e quello per le Pari Opportunità Mara Carfagna, secondo cui il riconoscimento dell’asilo a Kate «avvenuto peraltro in tempi velocissimi, non soltanto salva la vita ad una donna, ma dimostra che l’Italia non smetterà mai di lottare per la libertà».
Parole accompagnate dai ringraziamenti a quanti si sono attivati «in questa battaglia a favore dei diritti umani », il cui epilogo è stato scritto negli ultimi tre, convulsi giorni. Lunedì la liberazione, la notizia che Kate non sarebbe stata espulsa, il suo trasferimento a Roma per l’identificazione e per attendere un’udienza inizialmente fissata per il 19 ottobre; martedì il colloquio con la Commissione asilo, il racconto della sua vita, della fuga dalla sua terra, degli anni trascorsi da regolare in Italia, dell’arresto e della revoca del permesso di soggiorno che l’avrebbe costretta a tornare in patria, dove la sua vita è in pericolo; ieri la svolta: prima la visita del consigliere della Regione Lazio Isabella Rauti, poi la convocazione davanti alla Commissione, infine il via libera ad andarsene dal Cie. «È uscita nel tardo pomeriggio», hanno spiegato i volontari della cooperativa Auxilium, che gestisce i servizi di assistenza agli ospiti di Ponte Galeria, che hanno parlato di una donna un po’ spersa, silenziosa, provata: «Aveva in mano la non convalida a restare nel Cie, l’hanno portata via su un auto».
Una notizia confermata anche dal Garante dei detenuti, che ieri ha rivolto un plauso al carcere di Castrovillari e alla sua direzione, da subito in prima linea per aiutare Kate: «L’ingresso in prigione troppo spesso impedisce il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno per protezione internazionale – ha spiegato Marroni –: il problema è soprattutto burocratico, di assenza di strumenti e risorse idonee a creare un iter ad hoc per questo tipo di interventi ». Così dopo anni di detenzione lo straniero viene liberato dal carcere e trasferito nei Cie per l’espulsione e, solo a quel punto, può chiedere protezione. Una fine che Kate ha solo sfiorato, ma che tocca a moltissimi stranieri, nel silenzio generale. Su questo punto, peraltro, ha insistito anche la Fondazione Migrantes, intervenuta ieri sera sul lieto fine della vicenda: «È una bella notizia – ha detto il direttore generale, monsignor Giancarlo Perego – che dice quanto sia importante dare in tempi brevi una risposta ad una persona che dal carcere è stata trasferita in un Centro di identificazione ed espulsione e che attendeva un risposta di tutela umanitaria, nella forma dell’asilo politico per garantirsi un futuro». (V. Daloiso – Avvenire)