L’estate dei migranti nelle nostre parrocchie

Alcune esperienze in Calabria

Roma – L’estate, nelle terre d’emigrazione, è stagione di sacramenti. A Cariati, in Calabria, nella parrocchia di Cristo Re, don Mosè Cariati afferma che tra giugno e agosto arriva a celebrare fino al 30 per cento in più tra matrimoni, battesimi e cresime, rispetto agli altri mesi dell’anno. È una storia antica, quella che si ripropone nella cittadina che affaccia sullo Jonio calabrese. Negli anni ’70 si tenevano addirittura i «matrimoni collettivi»: dieci coppie, a volte anche di più, vivevano insieme la propria liturgia nuziale e poi pure la festa successiva, perché spesso gli invitati erano in comune. Funziona così, nelle terre di emigrazione: chi va via conserva la propria terra e la propria gente nel cuore. Ed è con loro che vuole condividere i momenti significativi della vita.

 
Per don Mosè è una gioia che copre la fatica per il lavoro extra: d’estate, quando altrove le parrocchie si svuotano, da lui ci sono da organizzare incontri, presiedere preghiere comuni e adorazioni eucaristiche notturne. Ma è soprattutto l’occasione per fare il punto con i propri «parrocchiani all’estero »: «Nelle città in cui si sono trasferiti, molti di loro sono impegnati nelle parrocchie: fanno i catechisti, i volontari per la Caritas» racconta il sacerdote calabrese. Ci sono località come Seelbach, in Germania, nelle quali la comunità di Cariati conta più di ottocento persone, molte delle quali rivestono anche incarichi istituzionali.
Due anni fa l’arcivescovo di Rossano – Cariati, Santo Marcianò, andò a incontrarli in Germania e celebrò lì le cresime. Ma loro, gli emigranti e i loro figli e nipoti, durante le vacanze non rinunciano a tornare nella propria terra. Anche a maggio, per la festa di san Cataldo patrono dell’arcidiocesi, molti si riservano un periodo di ferie e scendono a popolare Cariati. Ma l’appuntamento per eccellenza è il 16 agosto, giorno di san Rocco, nel cuore della stagione estiva che attira anche numerosi turisti sulle spiagge gratificate da due anni con la bandiera blu: «In quel periodo ci sono tutti gli emigranti – racconta don Mosè –, partecipano alla processione al mare sulle barche delle loro famiglie d’origine e poi sono protagonisti di tutti gli eventi correlati, a partire dall’incontro culturale che ogni anno organizziamo con loro per confrontarci sulle reciproche esperienze».
È tanto importante il ritorno degli emigranti per molte comunità calabresi, che se la festa patronale cade fuori dall’estate la si sposta proprio per far partecipare i conterranei che vivono lontano. O, almeno, la si duplica. A Platania, un paese di 2.200 abitanti in provincia di Catanzaro e nella diocesi di Lamezia Terme, san Michele Arcangelo si festeggia il 29 settembre – come detta il calendario ma anche il 7 agosto. Proprio perché in quei giorni gli emigranti possono scendere in Calabria per partecipare. Quest’anno ne sono rientrati più di 300. E sono stati loro che, al termine della Messa, hanno portato in spalla la statua del patrono. «La preghiera si è concentrata sulle famiglie che stanno risentendo della crisi economica» spiega il parroco, don Pino Latelli. Perché nelle terre d’emigrazione, in questo periodo, altra gente ha paura di dover partire in cerca di lavoro. (A. Gualtieri – Avvenire)