Napoli – Sono state tre le finalità del programma “Diritto alla scuola, diritto al futuro”, presentato ieri in conferenza stampa a Napoli dalla Comunità di Sant’Egidio, che l’ha realizzato con la collaborazione del Banco di Napoli e della Fondazione per l’infanzia: “Promuovere il successo scolastico degli alunni rom, prevenire l’accattonaggio, educare alla convivenza fra diversi”, hanno chiarito Antonio Mattone ed Enzo Somma della Comunità di Sant’Egidio di Napoli. Inoltre, “il progetto ha inteso anche avvicinare le famiglie alle istituzioni scolastiche”. Il programma ha previsto “la ricognizione e monitoraggio della realtà, borse di studio erogate in relazione alla frequenza scolastica dei bambini, laboratori e attività in orario extrascolastico per favorire l’integrazione tra bambini rom e italiani, interventi di sensibilizzazione finalizzati al contrasto dell’antigitanismo”
“L’adesione al progetto – hanno raccontato Mattone e Somma – ha rappresentato un atto individuale e formale. Le famiglie hanno assunto una serie di impegni attraverso la sottoscrizione di un contratto, avvenuta presso l’ufficio progetto della Comunità di Sant’Egidio. In tale occasione è stato spiegato che, solo in caso di raggiungimento degli obiettivi di frequenza, verificati mensilmente, avrebbero ricevuto l’ammontare della borsa di studio”, equivalente a 50 euro mensili.
Nei due anni considerati (2009-10; 2010-11), 91 bambini rom sono entrati nel programma: di questi 56 hanno beneficiato degli interventi incentivanti per un anno e 35 per entrambi gli anni considerati. Secondo i due operatori, “la verifica della frequenza rivela una significativa crescita della media mensile a partire dal mese di febbraio 2010, coincidente con le prime erogazioni delle borse di studio, che arriva a toccare l’85% di giorni di presenza nel mese di aprile 2010 con un aumento di 32 punti rispetto al mese di gennaio”. Non solo: “Il 30% dei beneficiari ha concluso l’anno scolastico 2010-11 con una media del sette ed il 3% con una media dell’otto e più della metà (il 57%) ha fatto registrare un miglioramento. L’offerta di attività didattico-educative, compensative, integrative e ludiche da parte delle scuole e delle associazioni impegnate, ha fatto sì che i bambini siano stati impegnati da un minimo di 3 a un massimo di 6 giorni per almeno otto ore”. In effetti, hanno concluso Mattone e Somma, “gli alunni rom non sono stati semplicemente inseriti nel contesto scolastico, ma anche in quello sociale. Le attività pomeridiane, infatti, hanno consentito non solo di migliorare il profitto, ma soprattutto di fare amicizia con i compagni italiani superando l’esclusione sociale che rappresenta il vero motivo per il quale gli alunni rom frequentano con difficoltà la scuola”.