Migrantes: la “Erga migrantes caritas Christi” al Corso di pastorale migratoria

Nella comunità cristiana “le migrazioni fanno parte integrante della vita della Chiesa ne esprimono bene l’universalità, ne favoriscono la comunione, ne influenzano la crescita”

Roma – L’Istruzione del Pontificio Consiglio dei Migranti ed Itineranti “Erga migrantes caritas Christi” è stata al centro della relazione di p. Gabriele Bentoglio, sottosegretario del dicastero vaticano, ai circa sessanta partecipanti al Corso di pastorale migratoria promosso dalla Fondazione Migrantes e in corso a Roma. P. Bentoglio ha parlato della missione della chiesa ai migranti. “Occorre sottolineare – ha detto – che la missione ai migranti comporta l’uscire dalla propria cultura per incontrarne un’altra. Perciò – ha sottolineato – non è più necessario andare ai migranti, quando sono loro stessi che vengono a noi”. Questa pastorale specifica sia chiama “missione tra i migranti” e che comporta anzitutto “un cambio di mentalità”, in quanto il migrante “non rappresenta una minaccia o un problema, ma una ricchezza e una forza. Si deve insistere particolarmente su ciò che si ha in comune, cioè la fede in Cristo e l’appartenenza al popolo di Dio, in vista della salvezza. Il battesimo ci fa entrare nella Chiesa e nel popolo, non la nazionalità, la razza o il colore: tutti questi sono solo fattori culturali”. Per dimostrare apertura verso i migranti, occorre poi – ha sottolineato p. Bentoglio – “convertirsi” e ciò “implica un vero cammino di rinuncia e sacrificio, per entrare in dialogo con le altre culture, distaccandosi dalle proprie sicurezze”. L’accoglienza del migrante – ha quindi aggiunto – “vuol significare anche accettare le difficoltà e le esperienze traumatiche che molti migranti portano con sé come bagaglio culturale e personale. Questa loro via è la Via Crucis, soprattutto sperimentata nei primi anni di abbattimento, insuccesso e fatica di mantenere la propria dignità e la propria fede. Anche queste esperienze negative diventano un momento di confronto e di scambio con la comunità che accoglie. In questo il migrante si riveste dell’immagine di Cristo e diviene l’occasione per la Chiesa locale di aprirsi al Signore che viene nella sofferenza e nei problemi della vita quotidiana”. Per il sottosegretario del Pontificio Consiglio dei Migranti e itineranti la Chiesa di arrivo deve dimostrare verso i migranti “accoglienza e ospitalità: al di là dei fondamenti biblici e teologici di questi due valori, occorre vedere quali siano i risvolti a livello ecclesiologico. Si tratta di una vera apertura all’altro che si dimostra in gesti di normale e comune accoglienza. Può interessare tanto l’aspetto umano e materiale (cibo, vestiti, trovare una casa o un lavoro), quanto quello sociale e comunitario, dove significa il riconoscimento di questi gruppi a volte minoritari, per l’utilizzo di strutture e tempi specifici, per favorire l’incontro nelle celebrazioni, nelle feste e nelle adunanze. Parlar di accoglienza e ospitalità implica inoltre un impegno specifico a difesa dei diritti dei migranti, contro ogni forma di violenza sulla loro dignità o sopruso. Sono le cosiddette prese di posizione da parte della Chiesa, per combattere ogni sentimento o legge razzista e xenofoba. Una tale denuncia, forse assai pronunciata in America latina, sta prendendo piede sempre di più anche in Nord America… ma rimane ancora poco visibile in Europa”.

 
“Fare apostolato tra i migranti – ha spiegato ancora p. Bentoglio – significa specialmente offrire ciò che si ha per uno sviluppo integrale e per una formazione dei nuovi arrivati. A volte però, difficoltà di gestione economica, diffidenza e grettezza mentale impediscono questa apertura della propria casa o della propria Chiesa ai migranti, quasi che questi ne approfittino e dia niente in cambio”. La pastorale tra i migranti è aperta al “dialogo con le loro culture e religioni. Il dialogo interreligioso è una condizione imprescindibile, determinato dal rispetto della dignità di ogni persona umana, che porta con sè doni e qualità da condividere. Si tratta del dialogo della vita e dell’azione, cioè condivisione delle gioie e dei dolori della vita e dell’azione comune soprattutto per promuovere la giustizia”. Restringendo il campo di azione, la Chiesa locale – ha detto ancora p. Bentoglio – deve “garantire la pastorale dei sacramenti, rispettosa delle lingue e delle culture dei migranti, perché siano liturgie vive e significative, che continuino ad alimentare la fede e la vita dei migranti. Non dare loro spazio e il minimo indispensabile per potersi esprimere, comporta un cacciarli (indirettamente) dalle proprie comunità, non riconoscendo le loro culture e tradizioni religiose, e facendoli diventare facile preda di altre religioni”.
Per il religioso “ogni persona umana è una ricchezza specifica per la società e la Chiesa: essa è un dono incommensurabile. Anche il migrante deve essere cosciente della sua responsabilità verso la Chiesa di arrivo, per entrare in dialogo con la comunità che accoglie e per condividere il proprio tesoro. Si deve pian piano generare una vera e propria armonia di culture, un’unità nella diversità, dove nessuno scompare, ma tutti si trasformano nello scambio della vita, con esperienze e doni personali”. Nella comunità cristiana nata dalla Pentecoste, “le migrazioni – ha affermato – fanno parte integrante della vita della Chiesa ne esprimono bene l’universalità, ne favoriscono la comunione, ne influenzano la crescita”.