A Bruxelles incontro con i rappresentanti delle Chiese europee
Bruxelles – «La vostra storia è complessa e, in alcuni periodi, dolorosa. Siete un popolo che nei secoli passati non ha vissuto ideologie nazionaliste, non ha aspirato a possedere una terra o a dominare altre genti. Siete rimasti senza patria e avete considerato idealmente l’intero Continente come la vostra casa. Tuttavia, persistono problemi gravi e preoccupanti, come i rapporti spesso difficili con le società nelle quali vivete. Purtroppo lungo i secoli avete conosciuto il sapore amaro della non accoglienza e, talvolta, della persecuzione, come è avvenuto nella II guerra mondiale: migliaia di donne, uomini e bambini sono stati barbaramente uccisi nei campi di sterminio. È stato — come voi dite — il Porrájmos, il “Grande Divoramento”, un dramma ancora poco riconosciuto e di cui si misurano a fatica le proporzioni, ma che le vostre famiglie portano impresso nel cuore. Durante la mia visita al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, il 28 maggio 2006, ho pregato per le vittime della persecuzione e mi sono inchinato di fronte alla lapide in lingua romanes, che ricorda i vostri caduti. La coscienza europea non può dimenticare tanto dolore! Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di rifiuto e di disprezzo! Da parte vostra, ricercate sempre la giustizia, la legalità, la riconciliazione e sforzatevi di non essere mai causa della sofferenza altrui!». Con queste parole Papa Benedetto XVI si è rivolto recentemente ai rappresentanti di diverse etnie di zingari e rom giunti a Roma per ricordare il beato Zefirino Giménez Malla, terziario francescano, che ha vissuto, pur tra mille sofferenze e difficoltà, il suo essere testimone di Cristo vivendo nella tradizione degli zingari, fino al martirio.
In questa udienza, l’11 giugno scorso, il Pontefice ha voluto ricordare quanto detto da Paolo VI, già nel 1965, allorché Papa Montini si rivolse agli zingari per dire loro che non dovevano sentirsi ai margini della Chiesa. Rilanciando così l’impegno di tutti i cristiani in un’opera di accoglienza e di comprensione dell’altro, tanto più quando si ha una fede in comune. Come, appunto, nel caso dei rom, che per secoli, hanno arricchito la vita cristiana in Europa con forme peculiari di spiritualità che solo di recente si è cominciato a scoprire.
Su questo aspetto i cristiani, secondo le parole di Benedetto XVI, possono fare molto, anche alla luce del cammino che molti rom hanno intrapreso per la costruzione di un rapporto diverso con la società europea. Riconoscendo cioè la dignità del patrimonio delle loro tradizioni culturali, nel pieno rispetto della legalità, favorendo il superamento dei pregiudizi che hanno tristemente segnato e, talvolta continuato a segnare, la storia dei rom in Europa.
Le parole di Benedetto XVI sono state l’ultimo importante appello in ordine di tempo a favore di un processo di integrazione che ha coinvolto molti cristiani — anche grazie all’azione della Conferenza delle Chiese Europee (CEC) — in dialogo con le istituzioni europee e, talvolta, anche con quelle nazionali e regionali. Dialogo, certamente non esente da difficoltà, che ha anche prodotto una serie di documenti che hanno posto l’accento su quanto sia possibile e doveroso lavorare nel lungo periodo per evitare strumentalizzazioni e iniziative a effetto che determinano nuove paure e intolleranze.
La presidenza ungherese dell’Unione Europea (UE) ha portato nuovo slancio alla riflessione su questo tema, sul quale si è manifestato un impegno ecumenico che va ben al di là dei confini dell’Ue, assumendo un carattere veramente continentale. Proprio al tema della presenza dei rom in Europa — «Roma inclusion: a need, a challenge and a duty» — viene dedicato il 27 giugno a Bruxelles un seminario di studio organizzato congiuntamente dall’ufficio dei consiglieri politici della Commissione europea, dalla Commissione degli episcopati della Comunità europea (Comece) e dalla commissione Chiesa e Società della CEC.
Il programma del seminario prevede una prima sessione dedicata alla riflessione sulle politiche necessarie per superare «il muro invisibile», spesso spirituale, talvolta anche materiale, che separa i rom dalla società europea, con interventi del commissario europeo ungherese László Andor, di Tamás Köpeczi-Bócz, direttore generale del Türr István Institute in Ungheria, del vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest, János Székely, responsabile dei progetti per la pastorale dei rom della Conferenza episcopale dell’Ungheria, e del presule luterano svedese Anders Wejryd.
La seconda sessione è invece incentrata sul contributo che le Chiese possono offrire alla definizione dell’agenda politica dell’UE riguardo ai rom. Da questo punto di vista particolarmente importante si prevede l’intervento del presule protestante ungherese Gusztav Bölcskei, proprio alla luce di quanto la CEC, in collaborazione con la Chiesa cattolica e molte comunità del movimento pentecostale, ha condotto in questi anni per il superamento di una situazione di discriminazione. In questa sessione prenderà la parola anche Sergio Rodríguez y López-Ros, per illustrare quanto la Chiesa cattolica in Spagna sta facendo da un punto di vista della pastorale per favorire «un’inclusione sempre più piena» dei rom, costruendo dei percorsi che vedono il coinvolgimento delle istituzioni iberiche a vario livello.
Nella prospettiva di valutare le sfide che questa «inclusione» pone alle istituzioni e alle Chiese, nella terza sessione si parlerà del tema dell’educazione, cioè di come giungere alla definizione di percorsi educativi che tengano conto delle peculiarità delle tradizioni rom, con il coinvolgimento di realtà che non fanno parte dell’UE, come la Serbia.
Infine, l’ultima sessione toccherà il tema della cittadinanza europea dei rom, cercando di affrontare le molteplici dimensioni di un dibattito che porta con sé aspetti che coinvolgono più in generale la riflessione del rapporto tra l’UE, i singoli Stati e coloro che vivono in Europa. In questo dibattito le Chiese intervengono chiedendo diritti per tutti coloro, non solo rom, che arrivano in Europa per cercare un lavoro e per sfuggire a una situazione di guerra e di persecuzione. Proprio il rilievo del tema dei migranti, sul quale le Chiese hanno fatto sentire ecumenicamente, anche di recente, più volte la loro voce, è indicato dal fatto che a Doris Peschke, segretario generale della Commissione per i migranti in Europa della CEC, e a Michael Kuhn, membro della segreteria della Comece, sono affidate le conclusioni del seminario con il quale si intende riaffermare l’impegno ecumenico dei cristiani a favorire i percorsi di «inclusione» dei rom in Europa. Questo seminario si inserisce nei regolari incontri tra la UE, Chiese e comunità ecclesiali, secondo quanto previsto dall’articolo 17 del trattato di Lisbona. Si tratta di un dialogo che si è venuto sviluppando fin dall’inizio degli anni Novanta, ben prima dunque dell’entrata in vigore dello stesso trattato, che però ha fornito una base giuridica a quanto si era già fatto in precedenza grazie al dinamismo delle Chiese e delle comunità religiose e alla buona volontà degli alti funzionari delle istituzioni europee. Si ha così un dialogo aperto, trasparente, regolare che ha dato origine a molti incontri, iniziative e documenti, che hanno spesso un carattere ecumenico, dal momento che i cristiani, soprattutto in questi ultimi anni, hanno ricercato un dialogo che vedesse coinvolti il maggior numero di tradizioni cristiane in Europa. Nella consapevolezza del ruolo che le Chiese possono avere nel favorire un processo di unità e nello sviluppo di una politica fondata su alcuni valori, come la lotta alla povertà, ai cambiamenti climatici, il rapporto tra migrazione ed educazione, che rappresentano delle priorità nella testimonianza ecumenica in Europa. Insieme a un rinnovato impegno per un ulteriore approfondimento della dimensione ecclesiologica della missione della Chiesa. (R. Buriana – Osservatore Romano)