Sicilia: la seconda edizione del pellegrinaggio degli immigrati a Sciacca
Sciacca – “L’idea del pellegrinaggio nasce per dare l’opportunità a tutte le Chiese di Sicilia di confrontarsi con il fenomeno migratorio e di capire che c’è una realtà che è sicuramente una ricchezza per la nostra Chiesa di Sicilia”. Con queste parole Santino Tornesi, Direttore dell’Ufficio Migrantes della Conferenza Episcopale Siciliana, spiega l’esigenza che ha spinto l’Ufficio da lui diretto a dar vita alla seconda edizione del pellegrinaggio delle comunità etniche, svoltosi il 19 giugno a Sciacca (Ag).
“In Sicilia – afferma Tornesi – i migranti sono una risorsa sia per la società civile sia per la comunità ecclesiale, sono persone che vivono la fede molto intensamente nella loro identità culturale che si trovano a viverla nel territorio siciliano” Dopo l’esperienza dello scorso anno, “quando il pellegrinaggio si è svolto presso il Santuario della Madonna nera di Tindari – continua il Direttore regionale Migrantes – si è pensato di dare continuità ad un evento che vuole assumere una duplice valenza: dare l’opportunità ai migranti, che vivono nella nostra Regione e che provengono da continenti e Paesi diversi, di condividere una devozione comune alla Madre del Signore; fare sperimentare alla Chiesa di accoglienza, in questo caso l’arcidiocesi di Agrigento, la ricchezza spirituale di una presenza che è un ‘segno dei tempi’, da leggere come un dono di Dio alla sua Chiesa”.
La meta di quest’anno è stata la cittadina di Sciacca, dove Maria viene venerata con il titolo di “Madonna del Soccorso” e festeggiata dai saccensi, anche da quelli emigrati all’estero, con una partecipazione che rende la manifestazione religiosa una fra le più belle e suggestive dell’Isola.
“Una sola famiglia umana”, lo slogan scelto quest’anno “per ricordare ad ogni credente che la Chiesa si sente chiamata ad essere segno e strumento dell’unità del genere umano, affinché ogni uomo sia considerato un fratello e il mondo una casa comune” come quella che si è ritrovata insieme a Sciacca per vivere un pellegrinaggio che non si realizza, per i migranti, all’interno della propria cerchia etnica ma che si è caratterizzato nel confronto con le diverse realtà presenti in Sicilia. Quindici nazionalità tutti e cinque i continenti presenti in quello che è stato un momento di preghiera ricco di significati in cui i migranti si sono anche uniti, con il pensiero, a quanti giungono a Lampedusa carichi di speranza.
“Due i segni che abbiamo voluto mettere in evidenza”, racconta Tornesi: “La croce realizzata dal legno di un’imbarcazione con la quale dei migranti sono giunti a Lampedusa ad apertura del corteo per ricordare come l’Isola sia la Porta d’Europa, punto in cui i migranti arrivano chiedendo accoglienza, con la speranza di una nuova vita. Questa speranza l’abbiamo voluta portare in processione identificandola proprio con la croce dei barconi a simboleggiare quei crocifissi viventi che sono i migranti che scappano da situazioni non felici chiedendo aiuto e accoglienza e che, il più delle volte, trovano nel ‘mare nostrum’ più che un mare di speranza una tomba. A questo simbolo in cui mettevamo in evidenza l’emergenza, la disperazione di chi scappa e di chi purtroppo non riesce a raggiungere Lampedusa come terra dove iniziare una nuova vita, abbiamo voluto affiancare un altro segno per quelli che risiedono stabilmente nel nostro Paese. Perché oggi con i media che focalizzano la loro attenzione sull’emergenza degli sbarchi si rischia di far diventare invisibili coloro che invece sono regolarmente residenti. E proprio per loro abbiamo voluto portare una grande bandiera italiana per dire ai nostri governanti, a chi gestisce la cosa pubblica di fare molto di più di quello che si è fatto fino ad oggi per aiutare i migranti nel loro percorso di integrazione e di cittadinanza attiva. La bandiera italiana significa che dobbiamo fare delle leggi che davvero rendano praticabili dei percorsi che portino alla cittadinanza perché fino ad oggi la legislazione sull’immigrazione non crea dei percorsi di inclusione ma di esclusione”. Per il direttore Migrantes della Sicilia “un primo segnale potrebbe essere aiutare le seconde generazioni, quelli cioè che nascono qui da noi a diventare cittadini italiani già a partire dallo ‘ius solum’, dal semplice fatto di essere nati sul territorio italiano”.