Anche gli imprenditori stranieri soffrono la crisi

Burocrazia, ritardo dei pagamenti e l’accesso al credito i maggiori ostacoli all’attività

Milano – La crisi ha toccato anche le imprese condotte da stranieri e l’eccessiva burocrazia, il ritardo dei pagamenti e il problema di accesso al credito sono gli ostacoli che denunciano gli imprenditori stranieri che lavorano in Italia. Essi chiedono alle istituzioni interventi tesi alla riduzione del carico fiscale, burocratico e a un maggiore sostegno agli investimenti. Questi alcuni dei risultati di un’indagine rivolta a 500 imprenditori stranieri in Italia realizzata dalla Fondazione Leone Moressa (www.fondazioneleonemoressa.org) che ha delineato un quadro dello stato di salute delle imprese straniere e delle prospettive per il futuro, tracciando l’identikit degli imprenditori e le caratteristiche delle attività che essi gestiscono.

 
Gli imprenditori stranieri hanno sofferto “abbastanza” la crisi economica, più al Centro che al Nord, più nell’edilizia che nei servizi alle persone. Le attività imprenditoriali sono state penalizzate soprattutto dai problemi di liquidità legati al ritardo dei pagamenti (27,4%), all’eccessivo carico burocratico (27,8%) e in parte a difficoltà di accesso al credito (12,8%). La riduzione dell’imposizione fiscale, accanto all’alleggerimento del carico burocratico sono senza dubbio gli interventi più auspicabili da parte degli intervistati per facilitare l’inserimento degli imprenditori stranieri nel sistema economico italiano (39,1% e 36,4%). Il sostegno agli investimenti, il miglioramento nell’accesso al credito, la collaborazione tra imprese e il sostegno diretto degli enti pubblici sono interventi che vanno anch’essi nella direzione di aiuto all’imprenditoria straniera, sebbene solo pochi intervistati li abbiano evidenziati come priorità da perseguire in questo particolare momento di difficoltà economica. Nonostante la crisi, la grande maggioranza degli imprenditori intervistati ha intenzione di continuare ad investire nel prossimo futuro nella propria attività autonoma (85,4%) e appena un 10% di abbandonarla per ritornare a lavorare come dipendente. Appena il 3,2% desidera rientrare nel proprio paese di origine e l’1,5% di avviare una nuova attività in un altro settore.
La maggior parte degli imprenditori stranieri intervistati ha fatto ricorso all’autofinanziamento per la propria attività (75,6%). E’ appena il 20,5% ad aver chiesto un prestito alla banca: l’importo richiesto è destinato soprattutto alla fase di start up di impresa (46,3%), nel 24% dei casi per l’acquisto di macchinari, nell’11,6% di immobili e nel 10,7% di mezzi di trasporto.
Oltre il 60% degli imprenditori stranieri non ha però mai fatto richiesta di un prestito alla banca; ma tra coloro che si sono rivolti agli istituti bancari, il 92,3% ha visto accolta la propria richiesta; in cambio la banca ha chiesto come primo elemento di garanzia il reddito di impresa (61,1%), poi la proprietà del’azienda (19,4%) e la proprietà degli immobili (11,4%).
In quanto alla facilità di accesso al credito, il 78,1% degli intervistati afferma che non vi siano grosse differenze di trattamento tra gli imprenditori stranieri e quelli italiani da parte degli istituti bancari, anche se esiste una buona fetta (20,7%) che dichiara come i nativi siano più avvantaggiati in termini di condizioni economiche del prestito e quindi di accesso al credito rispetto agli immigrati.
La maggior parte delle imprese condotte dagli stranieri è di piccola dimensione: quasi due imprese su tre hanno come unico addetto l’imprenditore intervistato, un terzo conta meno di 5 persone, mentre appena il 3,4% ha più di 6 lavoratori. Il personale occupato è soprattutto straniero: nella maggior parte dei casi ha la medesima nazionalità dell’imprenditore (62,9%), il 20,8% è di altra nazionalità, mentre appena il 16,3% ha alle proprie dipendenze personale di origine italiana. Le imprese condotte da stranieri hanno sviluppato in prevalenza una propria clientela (61,6%), mentre poco più di un quarto lavora esclusivamente per conto terzi (27,6%); si tratta in prevalenza di clientela italiana (nel 77,1% dei casi) localizzata per lo più nel territorio comunale e provinciale (80,3%). Si tratta di imprese avviate abbastanza recentemente: il 51% dal 2001 al 2005, poco più di un quarto dopo il 2005. Quasi la metà degli imprenditori ha avviato l’attività dopo appena 5 anni dall’arrivo in Italia, il 40,5% dai 6 ai 10 anni di soggiorno nel nostro Paese.
Gli imprenditori stranieri intervistati sono mediamente giovani (il 40,8% ha tra i 31 e i 40 anni), hanno un livello di istruzione medio alto (il 32,4% ha il diploma superiore, il 12,8% la laurea), vivono in Italia da più di dieci anni e sono di origine prevalentemente marocchina (16%), albanese (12,9%) e rumena (11,3%). La scelta di avviare un’attività autonoma parte da una propensione personale all’iniziativa imprenditoriale (52,3%), anche se non mancano coloro che ricercano nell’attività autonoma un maggior riconoscimento in termini economici (21,9%) o chi addirittura non riesce a trovare uno sbocco lavorativo come dipendente (15,9%). Le esperienze di lavoro precedenti in Italia partono quasi tutte da eventi di dipendenza per altre aziende nello stesso settore di appartenenza dell’impresa che attualmente dirigono (59%), anche se il 33,9% era occupato, sempre come dipendente, ma in altre attività (33,9%).
“Gli imprenditori stranieri non si scoraggiano di fronte alla crisi: la loro intenzione di continuare a portare avanti la propria attività” affermano i ricercatori della Fondazione Leone Moressa “è segno di forte integrazione, perché l’imprenditore straniero provvede ad effettuare progetti di investimento economico e umano di lunga durata, mettendosi in gioco e rischiando in prima persona. L’imprenditore straniero si inserisce con il suo lavoro in una rete di rapporti e di conoscenze nel mercato in cui opera, confermato dal fatto che la clientela è in prevalenza italiana, anche se la manodopera impiegata nell’impresa è ancora per la maggior parte straniera. Essere imprenditore per un cittadino straniero significa interpretare un modello di ascensione sociale ed economica, dove il fattore umano gioca un ruolo importante: gli stranieri diventano imprenditori solo dopo aver valorizzato la propria professionalità come dipendente e per rispondere ad un’esigenza di autonomia, anche per guadagnare di più. Il processo di integrazione degli stranieri, che passa anche per il lavoro autonomo, deve essere adeguatamente governato: gli imprenditori stranieri devono disporre dei medesimi strumenti di sviluppo economico offerti agli italiani (come ad esempio l’accesso al credito o il sussidio agli investimenti) dal momento che le problematiche affrontate dagli stranieri non sono molto diverse da quelle degli italiani, data anche la piccola dimensione delle imprese da loro condotte”.