Rom ed evangelizzazione: l’impegno della Chiesa

Ai cristiani è richiesto un lavoro faticoso di annuncio specifico per questa gente che non è mai stata vista come una popolazione per la quale è richiesto un impegno missionario vero e proprio.

Milano – Molte persone tra i Rom e i Sinti praticano l’accattonaggio e danno l’impressione che vanno aiutati prima di tutto ad uscire dalla loro situazione di povertà. Conoscendoli meglio ci si accorge che essi sono diversi dalle popolazioni tra le quali si trovano a vivere ed è questo, a mio parere, il motivo che li tiene lontani dagli altri. Dovunque siano Rom o Sinti, hanno una maniera di vivere loro propria che cercano di conservare, tenendosi in disparte. Una delle diversità sta nella lingua parlata che li fa sembrare stranieri anche se vivono da secoli nella stessa regione. Purtroppo la comunità cristiana si mantiene a distanza dai Sinti e dai Rom, salve poche eccezioni. Quando, nel 1957, mi capitò di passare vicino ad un accampamento di nomadi, mi domandai: «Chi porta il Vangelo a questa gente?». Ed è ancora questo il pensiero che mi tiene vicino a loro. Scoprendo che i Sinti, i Rom, i Kalés, ecc. sono molto religiosi, ci si accorge della mancanza grave compiuta dalla Cristianità (sia cattolica sia ortodossa e protestante) nel non avere pensato a questa missione in terra europea. I Pentecostali evangelici hanno convertito molti Kalés in Spagna e ormai metà dei gitani ha lasciato il cattolicesimo, così come già in Francia. Bisogna che ci si convinca, finalmente, che è necessario far conoscere bene le opere di Dio anche agli Zingari e di accompagnare queste persone sulla strada della salvezza che è di tutti. Ci siamo accorti soltanto da pochi decenni che bisogna avvicinarsi a questa gente considerandola una etnia, un popolo con una propria cultura. A prima vista si può pensare che abbiano scarsi valori, ma la loro è solamente una cultura diversa. I difetti che si vedono in queste persone possono essere veri, verissimi, ma i pregi che hanno vengono poco notati. Per esempio, l’accorrere tutti insieme in ospedale per un malato è visto dagli estranei come un disordine invadente e non si guarda all’affetto che lega familiari e amici nei giorni della sofferenza o del pericolo. Così la partecipazione numerosa ai funerali che fa arrivare gente anche da molto lontano, sfugge agli estranei nel suo valore umano di aiuto a chi è nei giorni del lutto. Questo strano popolo assomiglia al popolo ebreo sparso un po’ dappertutto nel mondo e sempre identico pur nelle differenziazioni che risultano secondarie. Però il Rom, il Sinto, il Kaló, il Mânush, ecc. non ha il libro sacro che potrebbe tenerlo unito. Eppure il Rom dell’Italia riconosce come “connazionale” il Kaló della Spagna come anche il Sinto del nord Europa e guarda con simpatia i Bhill dell’India. L’integrazione dei vari gruppi nelle regioni dove sono arrivati, va pensata con molta attenzione perché non finisca col diventare una assimilazione che distrugge una diversa civiltà. Per esempio, il nomadismo, che ormai in Europa è ridotto a pochi gruppi, sta finendo anche perché si pongono ostacoli sempre più grandi alla libera circolazione nel territorio. Da parte di troppa gente si gioisce nel sapere che gli Zingari nomadi sono in diminuzione. Si ha troppa voglia di trovarseli sedentarizzati pensando che solo così saranno migliori. La frequenza della scuola dell’obbligo costringe i nomadi a diventare seminomadi perché le famiglie possono girovagare soltanto in alcuni periodi dell’anno. Nessuno pensa ad una scuola itinerante perché troppo impegnativa, ma per altre iniziative, che in diversi sensi costano molto, ci si muove ugualmente. C’è da pensare anche alla formazione religiosa di cristiani Rom e Sinti programmata appositamente per loro. Un esempio: la scelta di prendere in mano anzitutto la Bibbia per leggere insieme la Parola di Dio, aiuta molti nomadi a sentirsi inseriti nella storia della salvezza, specialmente conoscendo meglio Abramo e tutti i libri di Mosè. L’inserzione della preghiera dei Salmi e di altri cantici nei loro linguaggi li attira al Signore con le caratteristiche loro proprie. Ai cristiani è richiesto un lavoro faticoso di evangelizzazione specifica per questa gente che non è mai stata vista come una popolazione per la quale è richiesto un impegno missionario vero e proprio. I diversi gruppi arrivati in Europa hanno assorbito dagli abitanti delle più svariate regioni un influsso generico anche sulla religione. Così in Italia i Rom chiedono il Battesimo, mentre quelli fermatisi in Macedonia fanno la circoncisione alla maniera dei musulmani, ma non vanno oltre nella pratica della loro fede. Tutti, comunque, credono in Dio senza distinzione e con sicurezza assoluta. È questa una ricchezza spirituale ancora conservata insieme all’altra, radicatissima, del culto dei morti, considerati sempre viventi presso Dio e molto potenti. Va pure notata la devozione particolare verso la Madonna sia dei cristiani sia dei musulmani. Il Signore sempre opera meraviglie e anche tra gli Zingari ha voluto mostrare la sua forza misteriosa quando tre di loro hanno testimoniato con il martirio la fede che avevano. La Chiesa ha già riconosciuto con la beatificazione, avvenuta nel 1997 l’eroismo del gitano Zeffirino Jimenéz Malla ucciso a Barbastro (Spagna) nel 1936 perché era cattolico. La Congregazione per le Cause dei Santi ha già esaminato e ritenuto vero il martirio di un altro gitano: Juán Ramón Gil Torres della diocesi di Alicante, e della gitana Emilia Fernández Rodriguez morta ad Almerìa nel 1939. Tre eroi della fede cattolica incoraggiano i cristiani ad affrontare più decisamente l’opera di evangelizzazione intrapresa. Terminando non si può tralasciare di segnalare che il Signore ha già chiamato al sacerdozio, al diaconato e alla consacrazione religiosa più di 160 Zingari e Zingare. Ora si può contare su queste vocazioni speciali per ottenere un’evangelizzazione più appropriata, sapendo inoltre che c’è l’aiuto costante di circa 200 monasteri di Contemplativi, che pregano per una maggiore diffusione del Regno di Dio tra i nomadi. (don M. Riboldi – Incaricato della Pastorale dei nomadi della diocesi di Milano)