Il Papa e i rom
Roma – Hanno risposto in tanti, più di 2.000, all’invito in Vaticano di Benedetto XVI, venuti da diversi Paesi europei, partiti da molte regioni e da tante città italiane, dagli ancora numerosi campi di Roma. Sono i rom, i sinti, i camminanti e molteplici altri gruppi e famiglie di questa “galassia” dei rom: 12 milioni di persone in Europa, 170.000 in Italia. Nella loro semplicità, con tanta gioia, in variopinti colori, sono arrivati puntuali, e in ordine hanno raggiunto l’aula Nervi, sotto gli occhi attenti e ammirati delle guardie svizzere e della gendarmeria vaticana. Le numerose mamme con bambini hanno lasciato all’ingresso dell’aula le loro carrozzine e hanno portato in braccio i piccoli: il loro dono più bello al Papa, la loro provocazione più forte al nostro Paese sempre più vecchio e tra gli ultimi al mondo per natalità. Alcuni uomini e giovani non avevano vergogna a portare il rosario al collo e tra le mani. Molte famiglie, partite dai due estremi della Penisola, Trento e Messina, richiamavano l’unità di un popolo dentro l’unità di un Paese.
Il Papa li ha fatti aspettare di più. Un ritardo che ha aumentato il desiderio di incontrarlo. Finalmente il Papa entra nell’aula. Quasi di corsa. Come cercasse di recuperare i minuti perduti, quasi volesse esprimere il desiderio di incontrare, di ascoltare e di parlare. Le testimonianze rom che sono seguite al saluto del presidente del Pontificio Consiglio della pastorale per i migranti e gli itineranti, mons. Antonio Maria Vegliò, hanno fatto entrare subito nelle ragioni di questo incontro di famiglia. Un’anziana austriaca, reduce di Auschwitz, ha ricordato un massacro dimenticato: il “porrajmos” (divoramento) di 500.000 rom seguito alle leggi razziali naziste e fasciste; una suora slovacca ha richiamato il valore dell’accoglienza nella Chiesa; una mamma la preoccupazione per il futuro dei figli; un diciottenne di un campo il desiderio di avere una casa e un lavoro. Dopo averli ascoltati Benedetto XVI ha risposto alle loro attese con un discorso storico. In continuità con il magistero di Paolo VI e di Giovanni Paolo II, il Papa ha richiamato alcuni aspetti importanti di una “pastorale” e di una “politica”, alla luce del Vangelo. Anzitutto l’importanza di considerare i rom, proprio perché oggi ultimi nella considerazione, i primi nell’amore della Chiesa: non ai margini, ma nel cuore della Chiesa. Un invito alle nostre Chiese locali a curare questo luogo di vita e di fede, destinare risorse, persone, perché i rom non si sentano soli e lontani nella Chiesa. Ritornava in mente l’immagine di don Dino Torregiani, l’iniziatore della pastorale dei rom e sinti in Italia, il quale, dopo aver incontrato a Reggio Emilia una mamma malata sinta nel 1931, ha dedicato la sua vita sacerdotale anche a questo popolo, diventando con altri amici presbiteri – tra cui don Alberto Altana – “servi della Chiesa”.
Il Papa ha, poi, ricordato un fatto storico grave: il genocidio di 500.000 rom, iniziato con 2.500 bambini, durante il nazismo e il fascismo. Un peccato dell’Europa cristiana, di cui già Giovanni Paolo II aveva chiesto perdono, che fa dire a Benedetto XVI ancora una volta: “Mai più il vostro popolo sia oggetto di vessazioni, di disprezzo, di rifiuto!”. Mai più discriminazioni, offese – come abbiamo sentito anche in diretta domenica nella rubrica “A sua immagine” da alcuni messaggi. Mai più esclusione, come troppe volte avviene nella scuola, sul lavoro, nell’abitare in città. Infine il Papa ha invitato i rom, sull’esempio del Beato Zefirino, a non rispondere al male con il male, ma con il bene: la giustizia, la legalità, la riconciliazione. Quando si vive nel disagio, nel disprezzo comune, nella violenza è facile omologarsi a queste logiche manifeste o perverse del nostro vivere sociale. È importante, invece, coltivare, il meglio della propria cultura, della propria religiosità, della propria storia: la centralità della vita familiare, la cura per i figli, una religiosità semplice e concreta, il senso dell’accoglienza e della fraternità, la non violenza. Sono anche i valori che Benedetto XVI, guardando anche al Beato Zefirino, ha indicato all’Europa cristiana, perché, anche grazie al popolo rom, non perda le sue radici. (G. Perego – Direttore generale Migrantes)