Tunisia: la speranza di un popolo

Intervista di SIR Europa con l’Arcivescovo di Tunisi

Tunisi – “Bisogna essere ottimisti. Non si deve avere paura”. Mons. Maroun Lahham, Arcivescovo di Tunisi, dice di credere in un futuro migliore per il suo Paese e di sperare che le prossime elezioni a fine estate possano finalmente portare la democrazia in Tunisia. Maria Chiara Biagioni lo ha intervistato per SIR Europa anche sugli sbarchi a Lampedusa e sulla situazione economica nel Paese.

 
Come Arcivescovo di Tunisi, che impressione le fanno gli sbarchi a Lampedusa?
“In Libia oggi si sta morendo e poi c’è una chiara ed esplicita volontà politica di Gheddafi che ha minacciato l’Europa di rispondere alla guerra con un via libera in massa di immigrati. In Tunisia ovviamente non c’è stata questa volontà politica perversa. I giovani tunisini e i maghrebini, in generale, hanno alimentato per tanti anni il sogno di venire in Italia, in Francia o in Germania. Ultimamente dopo la rivoluzione, oltre alla disoccupazione che già profondamente colpiva la popolazione, si è aggiunto il drastico calo del turismo che occupava mezzo milione di giovani. Insomma, oggi ci troviamo con mezzo milione di giovani senza lavoro. Mezzo milione di giovani vuol dire mezzo milione di famiglie e mezzo milione di famiglie sono almeno 2 milioni di persone. E cioè il 30% della popolazione tunisina. E allora i giovani che si sono ritrovati a vivere in questa situazione, fuggono. La frontiera è meno sorvegliata perché le forze dell’ordine si sono concentrate nelle città. E forse anche nelle autorità tunisine non c’è una volontà politica per porre fine a questa situazione in quanto sono piuttosto preoccupate dall’economia che non riparte e dal turismo che si è completamente fermato”.
In Europa si dice che in Tunisia la situazione economica non è così drammatica da giustificare tutta questa fuga? Lei cosa ha da dire?
“Non è drammatica dal punto di vista della sicurezza, ma dal punto di vista economico sì. L’economia è al collasso. Il turismo è al collasso. Forse è difficile capire cosa significa il turismo per la Tunisia. Il Paese, con 10 milioni di abitanti, aveva 7 milioni di turisti l’anno. Si pensi a quante persone lavoravano negli alberghi, nei ristoranti, nei villaggi turistici. Tutto un mondo ruotava e viveva attorno al turismo. La situazione quindi da questo punto di vista è drammatica. Certo, nessuno muore di fame. Ma morire di fame è una cosa, la speranza di vivere una vita dignitosa è un diritto. Non è mia competenza analizzare la questione dal punto di vista giuridico o politico. Da pastore però ho a cuore il punto di vista umano di questa situazione. Per me questi giovani che lasciano la Tunisia, sono figli di Dio. È gente che cerca un lavoro. Non sono delinquenti, mafiosi, terroristi, non sono integralisti”.
E in Tunisia come si vivono gli sbarchi a Lampedusa?
“A questo proposito, voglio dire una cosa. Da quando è scoppiata la guerra in Libia, i tunisini hanno accolto 250.000 libici o immigrati africani che erano in Libia e sono dovuti scappare dal Paese perché è in guerra. E la Tunisia li ha accolti, ha dato loro da mangiare per tre/quattro mesi. Questo fa parte dell’ospitalità araba”.
Vuol dire che l’Italia non è stata altrettanto generosa?
“Se è per questo allora non lo è stata neanche la Francia, ma questa è l’opinione di un pastore della Chiesa, non di un politico o di un giurista”.
Perché si ha paura?
“Credo che se fossero stati polacchi, forse non ci sarebbero state queste reazioni. Forse è anche l’appartenenza all’Islam che mette paura”.
Ha un appello per l’Europa?
“L’Europa si salva finché è fedele alle sue origini e le origini dell’Europa sono cristiane. Uno dei valori cristiani più forti è la condivisione, la solidarietà. Apritevi allora al fratello che si trova in difficoltà anche se diverso”.
In che cosa spera oggi per la Tunisia?
“Che il Paese sia il pioniere di un regime democratico in tutto il mondo arabo musulmano. La mia speranza è che la Tunisia riesca – inshallah – ad avviarsi verso elezioni democratiche che permettano la nascita di un regime democratico, che riesca ad affrontare la sfida di promuovere un Islam moderato capace di convivere in uno Stato democratico. È una speranza nella quale credo”.