A Roma il capolinea dei bimbi “invisibili”

La stazione Ostiense da anni è il rifugio dei piccoli afghani

Roma – Il caso della stazione Ostiense a Roma è una ferita aperta. Un fallimento sociale e istituzionale sul fronte della tutela dei diritti dell’infanzia. I bambini afghani non accompagnati che affollano l’ormai famigerato ‘binario 15’ da anni, in rifugi di fortuna, in condizioni disumane, sono la punta dell’iceberg di una vicenda più vasta. E sconosciuta. Sono piccoli viaggiatori “invisibili”, migratori precoci che, nel sogno di raggiungere i Paesi europei, spendono anche anni a varcare confini su confini per approdare in Italia – nella Capitale in particolare – terra di passaggio per Francia, Olanda e Scandinavia. A Roma ne transitano ogni anno almeno mille; nel Lazio rappresentano l’82% del totale degli stranieri che richiedono asilo. La Fondazione L’albero della vita e la Commissione straordinaria per i diritti umani del Senato, con una conferenza congiunta svoltasi ieri, hanno acceso i riflettori su questa fetta di infanzia che lascia la propria patria, spesso dietro la sollecitazione degli stessi genitori nella speranza di strapparli a povertà, schiavitù, abusi. Molto più di frequente sono orfani, soli al mondo, inconsapevoli del pericolo quanto basta a renderli temerari e inarrestabili nella fuga. Solo nel 2008, secondo i dati della Fondazione, hanno richiesto asilo in Italia 429 minori afghani; nel 2009 sono stati invece più di 5.900 quelli che lo hanno chiesto in Europa, contro i 3.380 del 2008. Rappresentano il 45% di tutti i minori che chiedono protezione in UE. L’Italia, segnalano i promotori del dossier, è quella più garantista sul fronte dell’infanzia immigrata rispetto al resto d’Europa, «anche se applica poco e male le belle leggi che ha».

 
Sottolineato anche il nodo critico della difformità legislativa che sul tema impera in Europa, in un contesto di sostanziale e fisiologica «crisi delle politiche attuali su immigrazione e asilo – ha fatto notare Teresa Albano, esperta di tratta e minori per l’OIM –, per la grande indefinibilità dei fenomeni, sempre più vasti, complessi, difficilmente incasellabili, lì dove la fragilità umana in tre quarti del mondo assume mille forme e ha mille risvolti». Le storie dei bambini afghani non accompagnati che intraprendono «viaggi lunghi 5-6.000 km – precisa il dossier presentato ieri – sono la dura realtà di un Paese, l’Afghanistan, che non conosce ancora il dovere del bene supremo da garantire ai minori». Generalmente maschio, il “viaggiatore invisibile” ha tra i 15 e i 17 anni, a volte è orfano ma più spesso ha un genitore in vita. Prima tappa del viaggio è quasi sempre l’Iran (o anche il Pakistan), Paese dove i minori si fermano illegalmente anche per mesi, alla ricerca di un lavoro e di soldi che servono per pagare i trafficanti di esseri umani che controllano i viaggi verso l’Europa». Poi inizia il viaggio verso Ovest, attraversando la Turchia, la Grecia e l’Italia. Questo calvario per molti di loro trova tregua, si fa per dire, alla stazione Ostiense di Roma: negli anni, si sono rifugiati prima tra i binari, poi sotto i portici e successivamente nelle fondamenta di un cantiere edile temporaneamente inattivo ed infine in tende poste sul ciglio di una strada chiusa. «Molti di loro arrivano, restano qualche giorno per riposarsi e mettere insieme il denaro necessario, poi ripartono per il Nord Europa, dove pensano di poter trovare lavoro più facilmente». A loro l’organizzazione Intersos garantirà ora un centro di rifugio notturno, come annunciato ieri dal presidente Nino Sergi: «Sarà pronto alla fine di luglio». (P. Simonetti – Avvenire)