Migrantes: per una cittadinanza egualitaria

A margine della recente Assemblea Generale della CEI

Roma – In un passaggio della prolusione del Presidente della CEI alla recente Assemblea dei vescovi italiani (23-26 maggio 2011), parlando della grave situazione attuale dei Paesi del NordAfrica e del MedioOriente, si afferma come necessario che “nella rimodellatura di queste società e nella definizione dei loro sistemi giuridici, si affermi il concetto di cittadinanza egualitaria, per la quale non sono le maggioranze a garantire o proteggere le minoranze, ma le une e le altre si riconoscono in un trattamento alla pari che ha perno sul valore della persona”. E’ un passaggio importante, che ha un legame stretto anche con la proposta sull’estensione della cittadinanza alle minoranze (rom) e ai bambini che nascono in Italia. Sono proposte che, prima e dopo la Settimana Sociale dei Cattolici Italiani di Reggio Calabria (14-17 ottobre 2010) sono cresciute nel mondo ecclesiale e stanno per ritrovare anche un luogo importante di proposta in una campagna sottoscritta da numerose associazioni ecclesiali e non, tra cui la Fondazione Migrantes e la Caritas Italiana.

 
Parlare di cittadinanza, di facilitare ed estendere la cittadinanza, significa leggere i movimenti migratori, l’arrivo in città di persone da nazionalità diverse come un’occasione nuova per ricostruire la città, rileggere le relazione, ricostruire i quartieri, ripensare la partecipazione.
Parlare di cittadinanza significa declinare termini ormai abituali come inclusione, integrazione, non lasciando le persone ‘forestiere’, sempre e solo come esterne, estranee, ma come persone da riconoscere. Parlare, poi, di cittadinanza egualitaria significa superare una visione, alle volte veramente schizofrenica, in cui diritti e doveri si affermano a intermittenza, a seconda che si abbia o meno un interesse. Educare alla cittadinanza egualitaria significa anche, come ricordava Gorrieri in un bellissimo saggio, che non si possono fare “parti uguali tra diseguali”, cioè che chi è più debole, indifeso, piccolo, forestiero ha bisogno di un’attenzione maggiore nella politica, nella città, rispetto a chi è ricco, forte, autonomo. La qualità dell’esercizio della cittadinanza, poi, è un segno del bene che si vuole alla città. Educare alla partecipazione, alla solidarietà, all’accoglienza significa fare della cittadinanza non un semplice titolo, ma un’opportunità per tutti di costruire la città dell’uomo. Educare alla cittadinanza europea, poi, significa anche educare a porsi alcuni interrogativi – come quello posto dal card. Bagnasco nella prolusione: “capire perché per i missili c’erano soldi e intesa politica, mentre per i profughi non ci sono i primi ed è inesistente la seconda”. Il cammino della cittadinanza a livello locale e nazionale, europeo, globale chiede un percorso educativo, un ‘nuovo alfabeto’ a cui come cristiani dobbiamo abituarci ed educare. (G. Perego – Direttore generale Fondazione Migrantes)