Stretta di mano: l’essenza di un gesto

Risolta la protesta degli stranieri a Brescia anche grazie all’intervento del vescovo. L’editoriale del settimanale cattolico “La Voce del Popolo”

Brescia – Fuori dalla cronaca di questi giorni di protesta a Brescia, dai retroscena, dalle posizioni e dichiarazioni dei partiti e delle associazioni, o degli osservatori desiderosi di interpretare il sentimento popolare, è utile dire che è servito tornare ad ascoltare. I giorni del presidio in piazza Duomo tra sabato 21 e martedì 24 maggio dove gli immigrati “della gru” sono stati nuovamente protagonisti delle pagine dei giornali bresciani, troveranno senso solo se ci lasceranno dentro l’insegnamento che il vescovo Luciano Monari ha impartito a tutti andando, anzitutto, ad ascoltare davanti alla porta della Cattedrale coloro che avevano occupato il sagrato. Chi riesce, infatti, a ricordarci che dietro agli slogan e alle rivendicazioni, alle strategie e alle vittorie ci sono le storie e le persone, dei nomi e dei drammi, delle mani da stringere e degli occhi da scrutare, ci riporta alla realtà e ci aiuta a leggere e a ricollocare nella giusta luce anche i doverosi meccanismi burocratici, i cavilli giuridici e pure le congetture ideologiche, magari abbinandole alle ansie e alle speranze di chi cerca di darsi un futuro nella nostra società. L’essenza del gesto del Vescovo sta tutta qui. Molti hanno voluto attribuirgli, forse legittimamente, un significato politico o mediatico, altri hanno voluto tirarlo per la giacchetta episcopale, ma più semplicemente basterebbe ricordare che mons. Monari in questa circostanza, ancora una volta, ha fatto il prete, cioè l’uomo di Dio che ha a cuore il bene della sua comunità e che agisce di conseguenza quando coglie che il suo gregge è abitato da lacerazioni, disordini, tensioni profonde, perché ha a cuore che “tutti siano una cosa sola”. Qualcuno ha detto che l’immagine simbolo di questa vicenda saranno le mani di Haroon (uno di quelli della gru) tra le mani di Monari. Certo è che il Vescovo questo ragazzo l’ha ascoltato, così come ha fatto con altri cercando anche di indicare loro, però, una strada che contemplasse la rivendicazione dei diritti, il rispetto della legalità e il dovere di non urtare la sensibilità di quella città di cui vogliono essere cittadini e, di fatto, ha scritto una nuova pagina di quel complesso rapporto tra bresciani e immigrati, senza rinunciare alla serenità. Monari in mezzo agli immigrati in ascolto, però, esalta anche un metodo diverso da quello che abbiamo visto lo scorso novembre sotto la gru, dove solo la caparbietà di padre Toffari (direttore dell’Ufficio Migrantes della diocesi) e delle realtà che con lui hanno operato ha potuto trovare una via d’uscita senza gravi conseguenze. Certo, se questa nuova protesta è sorta è perché i problemi sono ancora lì e, su questi la Chiesa bresciana ha espresso solidarietà e volontà di impegno. La materia è complessa, ma circa il reato di clandestinità le sentenze della Corte europea e del Consiglio di Stato parlano chiaro: esiste un diritto violato che va ristabilito. L’onere cade sulla politica e sulle istituzioni preposte chiamate a indicare le soluzioni più opportune e responsabili nel rispetto della legalità. Ci vorrà fantasia, coraggio o forse basterà solo un po’ di buon senso per rispondere a questi probabili non più di 200 casi a Brescia, 12mila in Italia. La speranza è che quelle mani strette in piazza Duomo, nel rispetto dei ruoli e delle competenze, abbiano indicato un metodo: una protesta decisa, composta e centrata sul merito, una sensibilità istituzionale da far percepire per governare le tensioni, una volontà politica che pur nella dialettica sa guardare ai bisogni delle persone, più che agli interessi di partito. Il segnale che tutti i capigruppo della Loggia hanno dato è la strada giusta. Basta che duri. (A. Bianchi)