Istat: gli stranieri in Italia guadagnano meno degli italiani

Presentato questa mattina il Rapporto 2011 dell’Istituto di Statistica Italiano

Roma – Il tasso di occupazione degli stranieri in Italia è sceso dal 64,5 per cento del 2009 al 63,1 per cento del 2010, un calo più che doppio in confronto a quello degli italiani. Allo stesso tempo il tasso di disoccupazione è passato dall’11,2 all’11,6 per cento: su cento disoccupati in più nel 2010 rispetto a un anno prima, circa un quinto erano stranieri, percentuale che sale a oltre un terzo fra le donne.

 
Sono alcuni dati contenuti nel Rapporto Annuale dell’Istat presentato questa mattina, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e di numerosi rappresentanti del Governo e del Parlamento. In cinque capitoli il volume affronta le più recenti dinamiche in campo economico, tracciando la traiettoria di uscita dell’economia internazionale e di quella italiana dalla peggiore recessione dal secondo dopoguerra, documenta le condizioni del mercato del lavoro e delle famiglie italiane fino a proiettare lo sguardo sui prossimi anni, valutando lo stato del Paese alla luce di “Europa 2020” e del percorso tracciato dal Programma nazionale di riforma.
Secondo l’Istat nel 2010 sono 880 mila gli stranieri che hanno un livello di istruzione e un profilo culturale più elevato rispetto a quello richiesto dal lavoro svolto. Essi rappresentano il 42,3 per cento degli occupati, una quota più che doppia di quella degli italiani con le stesse caratteristiche.
I lavoratori stranieri, sempre secondo l’Istat, guadagnano meno di quelli italiani. Nel 2010, la retribuzione media mensile netta degli stranieri è stata del 24 per cento inferiore a quella degli italiani (rispettivamente, 973 e 1.286 euro). Il differenziale aumenta fino al 30 per cento per le donne (788 e 1.131 euro).
Sul livello dell’occupazione nel nostro Paese incide anche il fenomeno del sommerso: il tasso di irregolarità è stimato al 12,2 per cento. Gli irregolari residenti (cioè coloro che, italiani o stranieri iscritti in anagrafe, risultano occupati secondo le indagini presso le famiglie, ma non presso le imprese) rappresentano la componente più rilevante.