Vento forte su Schengen

Dal Nord Africa una sfida alla politica estera europea

Bruxelles – Quanto avviene a Bengasi o a Tripoli, in Siria o in Iraq, in Terra santa o nei Balcani ha conseguenze, più o meno dirette, sulla vita dei cittadini Ue, che abitino in Francia, in Finlandia oppure in Polonia. E se le coste europee del Mediterraneo vedono arrivare migliaia di profughi dal nord Africa, accade che la Danimarca sospenda il Trattato di Schengen e rialzi le barriere con le vicine Germania e Svezia. Al di là dei numerosi altri temi affrontati durante la plenaria del 9-12 maggio, ben oltre le decisioni assunte sull’etichettatura dei prodotti tessili, sulla clonazione di animali per scopi alimentari, sul registro dei lobbisti, a Strasburgo s’è parlato quasi esclusivamente di politica estera e di rapporti con i Paesi del vicino Oriente e del Mediterraneo.

 
Nell’emiciclo del Parlamento UE, il Presidente della Commissione José Manuel Barroso ha affermato: “Il fatto che i Paesi siano capaci di abbattere le frontiere e lasciare circolare liberamente i cittadini costituisce un grande progresso di civiltà. Abbiamo però bisogno di un migliore coordinamento tra la Commissione europea e gli Stati membri dell’Unione e, soprattutto, tra gli Stati membri stessi. Solidarietà e responsabilità sono le parole chiave della nostra risposta all’immigrazione”, che “è una sfida europea e dunque richiede una risposta europea”. Barroso guardava già al Consiglio dei ministri degli affari interni, convocato per il 12 maggio proprio per trattare questi temi. “Ecco perché – secondo il politico portoghese – la proposta della Commissione mira a compiere un ulteriore passo nella governance del sistema Schengen a livello di Unione, mostrando che ci può essere solidarietà tra gli Stati membri. Si tratta di agire attraverso una governance comune, non con mosse unilaterali”. Il rafforzamento dell’agenzia Frontex e il passaggio a un regime europeo comune in materia di asilo farebbero parte di questa stessa strategia.
Medesime posizioni, pur con sottolineature differenti, sono giunte da altre voci. “Restrizioni alla libera circolazione in Europa possono essere introdotte solo in casi eccezionali e devono essere decise assieme. Non siamo d’accordo con lo smantellamento del sistema di Schengen”, ha detto . Eniko Gyori, segretario di Stato per gli affari europei dell’Ungheria, che ha parlato in aula per conto della presidenza di turno Ue. Durante il dibattito le posizioni degli eurodeputati sono state divergenti su vari aspetti. Molti di essi hanno difeso l’operato di Italia, Malta, Grecia, Francia, i Paesi più esposti alle ultime migrazioni; diversi altri europarlamentari hanno invece indicato nelle incertezze e impreparazioni di questi Paesi molti dei problemi emersi.
Jerzy Buzek, Presidente dell’Europarlamento, ha guidato una sessione dei lavori interamente dedicata alla politica estera, alla situazione nel mondo arabo, ai rapporti tra Ue e vicini dell’Europa orientale. “L’Unione europea ha bisogno di definire una politica estera e di sicurezza comune – ha detto -. Contribuire a risolvere i problemi che risiedono fuori dai nostri confini è altrettanto importante della nostra azione per risolvere quelli interni”. Buzek ha specificato: “Registriamo situazioni di crisi in Libia, Siria, Egitto, Yemen, Bahrein e in diversi altri Stati e queste realtà ci interpellano. La diplomazia europea deve mostrarsi utile” per “costruire pace e democrazia in questi Paesi”. L’Alto rappresentante per la politica estera Ue, Catherine Ashton (spesso bersagliata da vari settori dell’Euroassemblea), prendendo la parola ha affermato: “Si parla di primavera araba per definire quanto accade in nord Africa e in Medio oriente. Sappiamo di certo che crescono le aspettative delle popolazioni verso la democrazia, la libertà e il benessere”. Ashton ha illustrato quanto l’Unione sta operando sullo scenario nordafricano e in quello mediorientale, con le specifiche urgenze che si registrano in Libia, Egitto, Siria. “La democrazia non è solo ricorso al voto. È radicamento nella società civile dei diritti e delle libertà. E per la democrazia non c’è mai una soluzione univoca, valida ovunque”. “Ad esempio vediamo rinsaldarsi lo spettro dell’intolleranza religiosa, che è negazione della democrazia. Essa è un diritto universale, da rispettare ovunque, ma in Egitto vediamo invece che l’intolleranza religiosa è usata come arma politica”. La Ashton ha spiegato che presto a Bengasi sarà aperto un ufficio di rappresentanza dell’Ue27 e ha poi insistito su due punti: le sanzioni, da comminare agli Stati che mortificano la democrazia e reprimono le manifestazioni di piazza (come la Siria); l’impegno dell’Ue per “sostenere le trasformazioni politiche in atto anche sul piano economico e dello sviluppo sociale”. “Il Servizio europeo di azione esterna – ha specificato – deve essere uno strumento per prevenire e risolvere i conflitti”. Su questo punto l’emiciclo ha approvato una risoluzione piuttosto critica: “La politica estera, di sicurezza e difesa dell’Ue – vi si legge – necessita di una nuova road map”. (SIR Europa)