I migranti che non votano

Il punto di vista di don Giancarlo Quadri, direttore della Migrantes di Milano

Milano – Quando si parla di elezioni ‘noi migranti’ saliamo alla ribalta, per diritto o per rovescio, per simpatia o per antipatia. Purtroppo è anche il momento delle più grandi bugie dichiarate a tutti come verità assolute. E ‘noi migranti’ difficilmente ci possiamo difendere. Quale radio, televisione o giornale mai prenderebbe in questi giorni chiara difesa degli immigrati in linea di principio? Ragionavo su questi concetti l’altro giorno con alcuni amici immigrati. Mi sembravano d’accordo, però restavano silenziosi. Mi guardavano un po’ straniti. Come persone che per decisione di altri non possono intervenire né dire granché sul tema. Cinque milioni e passa di immigrati nel nostro Paese. Almeno due e mezzo che lavorano in regola ormai da anni. Una presenza di famiglie ormai preponderante, quindi un’immigrazione stabile.
Una presenza a Milano ormai attiva e largamente positiva. Un’attività lavorativa che, se si fermasse all’improvviso, metterebbe in grave crisi tutto il sistema sociale. Nel campo finanziario e imprenditoriale una presenza insostituibile. Posso anche testimoniare la presenza positiva dei migranti nell’ambito della cultura associativa (scritti, mostre, opere d’arte, attività ludica, rappresentazioni, canti e danze…). La domanda sorge immediata: perché non votano? I regolari, con permesso, con lavoro, con famiglia, perché non votano almeno alle amministrative?
Se poi veniamo al campo religioso e di tutto ciò che richiama ai sentimenti più profondi della persona, qui posso testimoniare quello che mi ha appena detto il mio amico Andrew, filippino, che è venuto a trovarmi. Cinquant’anni, una volta regolare in Italia, gravi ingiustizie subite sul lavoro, nessuna giustizia dai tribunali… Inevitabilmente la salute mentale ne risente e ora… Gli voglio troppo bene. Solo che dorme qua e là, nei posti «dove il chiasso della notte me lo permette, sui marciapiedi». Bene. E’ venuto a trovarmi e, seduto qui davanti alla mia scrivania, con i suoi occhi buoni, di un azzurro incredibile, mi ha detto (gli ho promesso che l’avrei scritto): «Padre, io ho imparato solo due cose nella vita: a chiedere perdono e a ringraziare».
Di che cosa, povero amico mio? Di quello che hanno fatto alla tua testa? Di questi marciapiedi duri gelati d’inverno e roventi d’estate? Proviamo a chiederci a nome di tutti i migranti: al di là di ‘chi’ votiamo, per che cosa votiamo? Quale esercizio compie la nostra coscienza quando esercitiamo questo nostro diritto? E le esclusioni? Democrazia? Quale?