Tra nuovi sbarchi e nuove tragedie c’è sempre posto per la solidarietà

Testimonianza della piccola comunità focolarini di Lampedusa

Lampedusa – Il Mediterraneo continua ad essere teatro di morte. Sulla banchina di Lampedusa alcuni ci arrivano con il cuore in gola, dopo una traversata terribile del mar Mediterraneo, ed allora c’è chi balla e gioisce; in altri, però, pur essendo arrivati sulla terra ferma, subentra l’angoscia e le lacrime, che cancellano l’allegria perché madri e gli, amici e fratelli non si ritrovano, dal momento che il barcone successivo è affondato seminando morte, ancora una volta.

Questo è di nuovo successo venerdì scorso: erano salpati alla stessa ora il barcone arrivato a Lampedusa la sera e quello affondato la mattina a poche bracciate dalla costa libica. Bilancio: almeno settecento tra morti e dispersi, nuovi fotogrammi di uno stesso tragico film che si ripete. Domenica notte invece una catena umana formata da uomini delle forze dell’ordine, volontari delle associazioni umanitarie, perfino giornalisti ha salvato circa 500 migranti, tra i quali numerose donne e bambini. Il barcone sul quale viaggiavano si è infatti incagliato nella notte sugli scogli all’interno del porto, a una decina di metri dalla riva di cala francese a Lampedusa rischiando di capovolgersi a causa delle onde. A questo punto i migranti che erano a bordo si sono lanciati in mare per la paura, cominciando ad annaspare anche perché quasi nessuno sapeva nuotare. Immediatamente sono scattati i soccorsi: una squadra di sommozzatori della Guardia Costiera è subito intervenuta con i salvagente, cominciando a recuperare i naufraghi che venivano poi passati alle persone che si trovavano sulla scogliera. Un’operazione che è andata avanti per circa un’ora e mezza, fino a quando tutti gli immigrati non hanno raggiunto la riva. A Lampedusa esiste una piccola e viva comunità di focolarini, che ci racconta come si vive questa emergenza continua con spirito di accoglienza e donazione. “Gli ospiti arrivano inzuppati di acqua di mare e per lo più scalzi. Si stabilisce subito, fra loro e noi un rapporto di empatia e di gratitudine. Si scusano per tutto, per il traffico che bloccano, per le file che creano al forno, nei supermercati…”. Vi è consapevolezza che si assiste a qualcosa di umanamente importante, di straordinario. “Negli ultimi mesi, susseguendosi
gli sbarchi, viviamo un’esperienza di popolo. Tutti si danno da fare con grandissima generosità, per aiutare questi fratelli procurando indumenti, cibo e quant’altro possa servirgli”. Si fanno molte esperienze: “Nei giorni precedenti gli sbarchi – confida una focolarina presente sull’isola – mi era stata rubata la borsa con tutto ciò che c’era dentro, compreso il cellulare. Ne ho comprato un altro e ce l’ho in borsa ancora nella scatola. Un giovane tunisino si accorge che il suo telefono non funziona e mi dice: ‘Mamma piange perchè non ha mie notizie!’. Penso al telefono che ho appena comprato. A lui serve. Glielo do. Il ragazzo è felice e poco dopo riesce a parlare con la sua mamma”. Anche un piccolo gesto può regalare uno spicchio di serenità a chi ha lasciato i propri affetti per fuggire dal bisogno. Dopo questo primo tempo di grande dedizione, fra gli
abitanti dell’isola, come noto, è cominciata ad affiorare una certa preoccupazionedal momento che il 90% della popolazione vive di turismo. Ma non vi è stata mai disperazione e sono in molti coloro che hanno confidato e continuano a farlo nell’aiuto degli uomini, ma soprattutto del Signore.
“Nella certezza che Dio non ci lascerà soli, che non si farà vincere in generosità, cerchiamo di incoraggiare, di sostenere tutti a non farci sopraffare dalle preoccupazioni per il futuro.” Dopo l’intervento delle autorità che hanno iniziato l’attività di smistamento dei profughi nel resto del Paese, la comunità facente capo al movimento focolarino racconta del sentimento degli abitanti di Lampedusa, la cui maggior parte racconta la gioia di aver ricevuto tanto, più di quello che si è dato. Si sono vissute e si continuano a vivere con tutti bellissime esperienze: chi ha “adottato” un bambino per un periodo, chi ha dato lavoro a dei giovani che ora sono rimasti qui, chi ha aperto la casa per un pasto, una doccia, per non parlare di soldi, cibo, vestiti. I pescatori hanno regalato cassette di pesce e gli ospiti li arrostivano in barbecue improvvisati. A Lampedusa la carità si è vista davvero, si è toccata con mano, non a parole. (Parola di Vita)