Emigrazione: l’incontro inevitabile

Le sofferenze di uomini e donne riassunte nella croce

Roma – “Le immagini che ci giungevano da Lampedusa sono ancora molto vive nei nostri cuori. Una situazione di emergenza, certo, anche se non unica nel mondo, ma fa intuire quanto dolore si può sperimentare in queste circostanze”.

 
È quanto ha scritto mons. Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti e gli Itineranti, in un messaggio inviato ai partecipanti al convegno “Emigrazione e multiculturalità: croce su cui morire o risorgere”, che si è svolto nei giorni scorsi alla Pontificia Università Lateranense per iniziativa della Cattedra “Gloria Crucis”, istituita presso l’ateneo nel 2003 dai Padri passionisti.
Persone “costrette a lasciare la propria patria – ha aggiunto mons. Vegliò – per motivi sconvolgenti e che finiscono per trovarsi in situazioni altrettanto insopportabili. Non è dunque difficile constatare che nell’emigrazione l’incontro con la croce è inevitabile”. Per il Presidente del Dicastero Vaticano “persino l’emigrazione intrapresa con piena libertà porta con sé disagio e sofferenza”: “non si lascerebbe la propria patria se in essa si potesse vivere con dignità, benessere e sicurezza, singolarmente e con la propria famiglia”. Mons. Vegliò si è augurato che, “attraverso la fede vissuta, contribuiamo alla realizzazione di quella nuova umanità di cui le migrazioni esprimono il travaglio del parto”.
Il convegno si è aperto con il saluto di mons. Enrico dal Covolo, Rettore della Pontificia Università Lateranense, che ha fatto un richiamo alle Sacre Scritture e ai Padri della Chiesa. “La memoria della situazione nomadica – ha sottolineato – può avere una duplice valenza: in primo luogo quella di non attribuire ai propri meriti, e dunque di non considerare un privilegio personale, i benefici che si sperimentano con la sedentarizzazione; in secondo luogo l’invito a non coprire di disprezzo colui che vive ancora la situazione dell’erranza, ossia il nomade”.
“L’esperienza degli itineranti – ha aggiunto – è oltretutto connaturata con il nostro credere in Gesù Cristo, che scelse il nomadismo come condizione dell’annuncio del Regno”.
Parlando dell’attualità mons. Dal Covolo ha ricordato che in questi giorni “drammatici per il continuo arrivo dei pericolanti barconi d’immigrati a Lampedusa, si fa davvero pressante l’invito a riconoscere in questi ‘poveri cristi’ l’immagine del Dio ‘povero’, nato in una grotta di fortuna da genitori ‘erranti’”.
“Di fronte al povero e al sofferente – ha ribadito – non è lecito a nessuno girare la testa altrove”, né “lasciarlo morire, in nome di principi astratti o di convenienze egoistiche”. È dunque importante, ad esempio, “garantire adeguate strutture di prima accoglienza, magari favorendo – in base al principio della sussidiarietà – quelle organizzazioni della società civile impegnate su questo fronte, che dimostrano competenza ed efficienza in materia”. “Mi sembra che operativamente si debba partire da qui per parlare di Croce e di Risurrezione in riferimento ai migranti. Un invito valido “anche da noi, in Italia, in questo tempo opaco di maggiore o minore prosperità materiale, che comunque rischia di trasformarci tutti in ricchi epuloni, che neppure s’accorgono – ha concluso – del povero Lazzaro, languente sulla soglia di casa”.
Presentando il convegno Fernando Taccone, Direttore della Cattedra “Gloria Crucis”, ha affermato che “le nostre società tendono a diventare società d’immigrazione e di emigrazione”, spiegando che è “essenziale considerare un modello d’integrazione che faccia propria la prospettiva interculturale, una prospettiva che non prenda in considerazione solo le differenze che separano gli immigrati dagli autoctoni, ma consideri che quanti sono portatori di un’identità culturale diversa costituiscono una ricchezza e devono poter mettere a confronto le loro rispettive posizioni in modo pacifico”.
Per Vincenzo Buonomo, Docente di Diritto Internazionale alla Lateranense, il diritto internazionale è “chiamato a dotarsi di un nuovo paradigma per riscattare la realtà di migranti, richiedenti asilo o soggetti da integrare”. “Tutelare i diritti legati alla mobilità – ha spiegato – significa collocare al centro della riflessione giuridica la ‘salvezza’ della dignità umana, considerandola un dono fatto a ogni persona e un fattore essenziale di stabilità internazionale”.
“L’accoglienza del forestiero – ha poi aggiunto il filosofo Antonio Livi – è prescritta da Jahvè al popolo d’Israele come un dovere di giustizia, nel ricordo del tempo nel quale lo stesso Israele era forestiero in Egitto”.
Tra gli interventi al convegno anche il vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetelo, mons. Guglielmo Borghetti, secondo il quale “una caratteristica ormai strutturale del mondo attuale è l’accresciuta mobilità umana, divenuta un fenomeno stabile e sempre più consistente”. (R.Iaria – SIR)