Dignità e accoglienza per i migranti

Viaggio dell’arcivescovo Vegliò in Australia

Sidney – Una porta può essere un ostacolo invalicabile o una possibilità per incontrare qualcuno. È partito da questa immagine l’arcivescovo Antonio Maria Vegliò, Presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti, per far comprendere l’atteggiamento della gente di fronte ai rifugiati. Lo ha fatto durante la celebrazione eucaristica nella cattedrale di Saint Mary a Sydney, martedì 10 maggio. È stato uno dei momenti salienti della visita pastorale che il presule – accompagnato dallo scalabriniano Gabriele Bentoglio, Sotto-Segretario del dicastero – sta compiendo, dal 2 al 14 maggio in Australia, per incoraggiare la Chiesa locale nell’azione a favore dei migranti.

 
La porta di una casa ha una duplice dimensione: una comunicativa e l’altra protettiva. Essa marca il limite tra ciò che è pubblico e ciò che è riservato alla famiglia. Riprendendo le parole dell’Apocalisse: «Ecco, sto alla porta e busso», l’arcivescovo Vegliò ha sottolineato come Gesù, dopo aver bussato alla nostra porta, rimane in attesa che gli si apra. Allo stesso modo, «molti migranti e rifugiati, una volta che hanno raggiunto il Paese di destinazione, si fermano davanti alla porta della popolazione locale. Nei loro rispettivi Paesi non avevano l’opportunità che sperano adesso di avere, almeno in un certo modo, per raggiungere una condizione più stabile e confortevole per loro e per i loro cari».
Quale sarà la reazione di quanti vivono al sicuro nelle loro case? Vi sono due possibilità, ha detto il presule: «La porta può rimanere chiusa, per difendere costumi, tradizioni, mentalità e anche pregiudizi e paure. Oppure, può essere aperta, offrendo accoglienza e ospitalità, e anche giustizia e verità. Applicato al fenomeno della mobilità umana, ciò non significa sicuramente favorire l’illegalità, ma promuovere la dignità umana con un’attenzione particolare alla legittima ricerca della sicurezza e della legalità. Chi bussa alla porta attende che gli venga aperto. Condividere risorse, in solidarietà, ha l’effetto di creare una nuova condizione di vita, in comunione».
L’arcivescovo Vegliò ha poi evidenziato come «gli altri» non sono esseri umani astratti, ma persone reali che desiderano vivere in libertà incontrando altri esseri umani liberi. Di conseguenza, «nel contesto della mobilità umana, ciò significa che la relazione tra persone ha un valore molto importante, perché il rispetto, la promozione, l’affermazione dell’importanza di ognuno dei soggetti avviene all’interno di una giusta relazione interpersonale. Qui è sottolineato che il fondamento positivo delle relazioni è “l’altro” che è il “prossimo”».
Una parola, poi, l’arcivescovo ha rivolto ai cappellani che si occupano dei circa 5.000.000 di lavoratori migranti, dei 22.500 rifugiati e dei 2.350 richiedenti asilo in Australia. «Durante la mia permanenza qui – ha detto – visitando molte comunità etniche, è emersa la necessità di focalizzare l’attenzione ai valori, agli aspetti provvidenziali e alle dinamiche positive della mobilità umana. Accanto alle luci, comunque, sono comparse anche alcune ombre». La celebrazione eucaristica nella cattedrale ha voluto essere, pertanto, «un segno speciale della multietnicità del continente australiano, o meglio del suo itinerario interculturale, che ha il significato di un dialogo tra culture, più che di una tollerata coesistenza. È uno scambio che arricchisce ognuno, perché al centro c’è Gesù Cristo che “è lo stesso ieri, oggi e sempre” e in ogni parte del mondo».
Concludendo, il presule ha detto che il cuore dell’apostolato tra i migranti è «nell’essere capaci di creare relazioni interpersonali che promuovendo ogni persona umana, possono condurre tutti “all’unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” come san Paolo scrive agli Efesini. Questa centralità di Cristo è la forza, il sostegno, l’entusiasmo che guida i nostri stanchi passi, in risposta alle domande dei migranti e dei rifugiati». (Osservatore Romano)