Milano: l’arrivo di 40 nordafricani alla Casa della carità

Arrivati senza preavviso a bordo di sette mezzi della Protezione civile

Milano – In mezz’ora sono stati tutti registrati per nome e cognome, come accadrebbe in un qualunque albergo. E un’ora dopo erano seduti a tavola, primo, secondo, contorno e frutta. Per la mensa della Casa della carità, nulla di più di un giorno di ordinaria emergenza. All’arrivo di quaranta (40) africani richiedenti asilo politico, portati lì senza preavviso a bordo di sette mezzi della Protezione civile, i volontari di Via Brambilla non hanno fatto una piega.

 
“Piccoli numeri”, ha detto qualcuno, rispetto a quando, nel periodo dell’emergenza rom, alcuni anni fa, qui arrivavano un centinaio di persone per volta.
Presenti proprio per fare il punto sul superamento dei campi nomadi e sul dopo Triboniano, telecamere e taccuini di giornalisti hanno raccolto in presa diretta la Milano che non si conosce forse troppo bene, quella in grado di dare in pochi minuti un pasto, un tetto, una carezza sulla testa e la connessione internet (una delle richieste più comuni dei nuovi migranti). Africa subsahariana, passando per la Libia, poi Lampedusa, Bari e infine Milano (di cui hanno visto giusto alcune centinaia di metri percorse dall’uscita della Tangenziale Est): i giovani immigrati, tutti tra i 25 e i 27 anni, uno di 18, aspettano il loro turno per scendere dal pullman, e gli occhi un po’ sgranati dalla nottata di viaggio sono, già di per sé, punti interrogativi per chi incrocia il loro sguardo.
Don Virginio Colmegna non perde un secondo di più a recriminare sul mancato preavviso (“Ci avevano chiamato ieri sera dalla Prefettura per una probabile emergenza, ma poi non ci hanno fatto sapere più nulla”). In casa non c’è posto, ma non è la prima volta che si fa fronte comunque. Dalla strada, il sacerdote inizia a dirigere i suoi: alùra? , avvertire i cuochi, sgomberare l’auditorium, reperire le brande (nel pomeriggio arriveranno quelle di ferro della Protezione civile, ma intanto ci sono i materassi), pronti “perché oggi è pure giorno di docce” per i senza dimora. E poi, subito qui chi parla francese e inglese, ma c’è anche un siriano e allora Abdel, marocchino 26enne già ospite, s’improvvisa interprete di arabo. Un paio d’ore, e tutto è calmo, i nuovi arrivati si riposano dal viaggio al sole tiepido.
Durerà, così, fino a domenica. Il tempo di imparare a riconoscere e non poter più dimenticare quei ragazzi della Guinea Conacry, di Mali, Nigeria e Costa d’Avorio. Poi dovranno essere sistemati altrove. “Qui è impossibile gestirli più a lungo, possiamo pensare solo ai loro bisogni primari”: don Colmegna è già all’azione. La prossima. “Qui è così tutti i giorni”.
I rom, dov’eravamo rimasti? “Il campo non è ‘superato’. C’è un campo concettuale: le ultime famiglie rom sono state catapultate in fretta e furia in case senza luce né gas, con gli inquilini sobillati da alcuni militanti politici”. Il superamento del campo “inizia ora”. Cià , taglia corto in lumbard il prete, “pure voi, andate che avete da scrivere”. (A. Guglielmino – Avvenire)