L’Argentina non è l’America

Viaggio pastorale nel Paese sudamericano della diocesi di Rossano-Cariati

Rossano – Nella vita tutte le esperienze sono utili, anche perché non si finisce mai d’imparare. Aver interrotto il servizio in parrocchia, e durante la Quaresima, per andare in Argentina con un gruppo di fedeli con l’arcivescovo, mons. Santo Marcianò (che però ha dovuto interrompere il viaggio appena giunto in Argentina per la scomparsa della cara mamma, ndr) è stato sicuramente un arricchimento personale soprattutto dal punto di vista spirituale. La conoscenza, anche se limitata per il breve tempo trascorso, ha lasciato dei segni importanti, che non possono restare nel privato, ma devono aprirsi ad una dimensione più ampia di Chiesa, almeno quella locale. Ricordi, sentimenti ed emozioni non si possono racchiudere in un racconto scritto, per quanto ampio, ma restano nel cuore e nella mente di chi le ha vissute come esclusiva esperienza pastorale.

 
L’ambiente sociale e religioso visto è differente da quello in cui viviamo. Accanto a pochi ricchi ci sta la stragrande maggioranza di persone con un tenore di vita più basso della media del nostro ambiente sociale, meno della metà del meridione d’Italia. Anche la maggioranza dei nostri emigrati, arrivato in Argentina nel secolo scorso fino al 1960, tranne poche eccezioni, non si sono arricchiti. Hanno costruito la loro casetta, sobria come l’arredamento, proporzionato al loro tenore di vita, e formato famiglia. I fratelli e sorelle migranti di prima e seconda generazione conosciuti abitavano quasi tutti a Buenos Aires, una metropoli con oltre dieci milioni di abitanti: all’interno anche diverse “Villas Miserias” (favelas addossate alle discariche o lungo le arterie principali della città), dove il degrado e la povertà materiale e morale sono gli elementi caratteristici. Ambienti dove è preferibile non introdursi se non con persone conosciute: la povertà spesso sfocia nella rapina e nella violenza. Questa frase sentita da un diplomatico italiano è illuminante: “La sera che torni senza essere stato picchiato o rapinato puoi considerarlo un giorno fortunato”. Il tenere i finestrini delle auto e le sicure delle portiere chiuse, soprattutto agli incroci di molte zone della città, era un consiglio da tenere presente, come quello di andare con pochi soldi e nascosti in più parti dei vestiti e possibilmente non da soli.
Dal punto di vista religioso la cosa più bella è stata l’accoglienza ricevuta dalla Chiesa locale di Avellaneda-Lanus, in particolare nella persona del vescovo mons. Ruben Oscar Frassia e dei sacerdoti presenti nelle varie circostanze.
Una testimonianza, raccolta da una provvidenziale conoscenza, illuminata anche dalla seguente frase: “Una Chiesa che si muove per visitare i suoi figli emigrati ha bisogno di una Chiesa che l’accoglie”.
Tale testimonianza è stata espressa in una miriadi di gesti.
Dall’accoglienza ricevuta direttamente dal presule all’arrivo all’aeroporto (alle 4,20 del mattino e distante circa un’ora da Avellaneda), all’aver caricato i bagagli nella sua auto e averci fatto da autista. Dall’averci ospitato nella sua casa, l’episcopio, e messi a nostro agio anche nelle cose più piccole.
Dall’averci fatto da “cicerone” per una conoscenza sommaria della città e, soprattutto, dall’avere spostato i suoi impegni pastorali per accogliere la nostra Chiesa.
Anche dopo la partenza improvvisa di mons. Marcianò e di don Santo Battaglia a chi è rimasto non è mancato il sostegno morale e materiale da parte dei suoi preti o di laici incaricati per gli impegni programmati.
Tale comunione, vissuta con grande spirito di semplicità, ha reso il soggiorno più sereno.
Insieme alla gratitudine personale per la testimonianza ricevuta, penso che la nostra Chiesa, che nella persona dell’Arcivescovo, nella Messa del Crisma, ha espresso l’idea di un gemellaggio con la diocesi che ci ha accolti, debba conoscere un poco la Chiesa sorella di Avellaneda-Lanus.
E’ una diocesi giovane. Proprio sabato 2 aprile ha celebrato il giubileo dei suoi primi 50 anni di elezione presso il Santuario Nazionale Argentino di Nostra Signora di Lujàn, anche con la presenza del Nunzio mons. A. Bernardini. La frase del logo del giubileo era: “Estudes son el Cuerpo de Cristo”. Durante quella celebrazione è stata ricordata la presenza della nostra diocesi.
La rappresentanza bella e festosa di migliaia di fedeli presenti presieduta solo dal vescovo Mons. Frassia (i cui nonni erano di Montalto Uffugo), anche dai due vicari Generali, dai sei Vicari foranei (a cui è stata consegnata un’immagine della Madonna Assunta protettrice della Diocesi), dai circa 50 sacerdoti e parroci, da due diaconi avviati al sacerdozio e da molti diaconi permanenti. Certamente pochi per servire i grandi bisogni pastorali per una popolazione di circa 900 mila abitanti presenti nel territorio!
Solo un accenno, per ora, alla fede dei nostri emigrati. Si conserva con le loro tradizioni religiose del tempo in cui sono partiti, come se il mondo si fosse fermato. E’ certamente un punto fermo che tiene salda la loro fede, ma anche un punto da cui partire per rievangelizzare un mondo che per certi versi è molto diverso dal nostro, è proprio un mondo nuovo. Le feste dei santi Patroni li tengono più aggregati anche come comunità etniche: si organizzano le feste dei santi patroni dei paesi d’origine e nelle stesse date (a parte qualche circostanza particolare). Ho conosciuto diverse di queste comunità della nostra e di altre diocesi: gli emigrati di Longobucco a Lanùs, che fanno la festa di S. Domenico il 4 ottobre ed altri presso la parrocchia di Maria Auxiliadora nella diocesi di San Isidro (alla parte opposta della Città), guidata da un presbitero (don Pedro Guarasci), altri ancora presso la parrocchia Sagrada Famiglia, anche questa guidata da un prete con mamma di Longobucco (P. Julio); alcuni di Corigliano, ma tanti che celebravano la festa di S. Francesco in un quartiere della Capitale non mi è stato possibile; alcuni emigrati di Rossano li ho visti presso la parrocchia S. Roque (dove si trova anche un’immagine della copia argentea dell’Achiropita) e alcuni anche a La Plata; a Villa Dominico ho conosciuto i rappresentanti di Terranova da Sibari e che celebrano pure loro la festa di S. Francesco di Paola la seconda domenica di maggio. Di tanti altri nostri emigrati incontrati manca lo spazio per parlarne, soprattutto di quanti si sono resi generosamente disponibili per i movimenti per spazi di centinaia di chilometri: Carlos, Elisa, il Dott, Castellucci, Patrizia Anfossi e l’organizzazione dei “Sibariti nel mondo“, che è stata di occasione per questo primo viaggio pastorale in Argentina.
Un tema a parte, eventualmente da riproporre in un’altra occasione, sono le figure presbiterali incontrate, espressione di una Chiesa che serve tra molte difficoltà e povertà, anche nella Capitale. (don Mimmo Strafaci – Direttore Ufficio Migrantes diocesi di Rossano-Cariati)