Nessuno è straniero

Giovanni Paolo II e i migranti

Roma – Per Giovanni Paolo II i cristiani devono “sforzarsi di vincere ogni tendenza a chiudersi in se stessi e imparare a discernere l’opera di Dio nelle persone di altre culture”, passando “dalla mera tolleranza verso gli altri al rispetto autentico delle loro diversità”, perché Cristo “attraverso di noi desidera proseguire, nella storia e nel mondo, la sua opera di liberazione da ogni discriminazione, rifiuto ed emarginazione”. Del rapporto tra Giovanni Paolo II e le migrazioni abbiamo parlato con Marco Impagliazzo, docente di storia contemporanea all’Università per stranieri di Perugia.

 
“Giovanni Paolo II è stato il Papa della globalizzazione e ha affrontato questo tema in termini molto aperti, difendendo il diritto del migrante, incontrando i migranti e conoscendoli”, spiega Impagliazzo, che aggiunge: “Dobbiamo dire che egli stesso è stato un migrante. Ha tanto viaggiato per il mondo, ha avuto esperienza del mondo grazie proprio ai suoi innumerevoli viaggi. Per lui l’incontro con il tema migrazioni è stato un fatto naturale che ha affrontato sollecitando il mondo alla solidarietà e all’accoglienza. Diceva sempre che non era soltanto un problema di rispetto: bisognava superare questa categoria. Bisognava passare a categorie cristiane come solidarietà e accoglienza. Per lui l’incontro con i migranti era anche un approccio culturale nel senso che le migrazioni pongono un problema culturale nel mondo della globalizzazione: le culture s’incontrano. Ma incontrare le altre culture non voleva dire perdere la propria identità”.
Giovanni Paolo II nel 1995 ribadiva che “nella Chiesa nessuno è straniero e la Chiesa non è straniera a nessun uomo e in nessun luogo”. Questo concetto come si è concretizzato nel suo Magistero?
“Si è concretizzato in diversi modi e soprattutto attraverso i messaggi che lui ha inviato in varie occasioni, come le Giornate mondiali delle migrazioni e diversi congressi degli operatori di pastorale della mobilità, dicendo al mondo che doveva cambiare accogliendo gli stranieri con spirito fraterno perché l’indifferenza può tornare ad uccidere. Più volte ha ricordato l’olocausto degli zingari nei campi di sterminio nazisti. Sono temi attuali perché anche oggi l’indifferenza può tornare ad uccidere come sta accadendo nel Mar Mediterraneo”.
Su questo tema concretamente cosa chiedeva Giovanni Paolo II ai credenti?
“Ai credenti chiedeva la conversione del cuore perché i primi a doverci convertire all’accoglienza degli altri siamo noi credenti. In secondo luogo chiedeva ai cristiani di guidare un cambiamento nel cuore della società, nel cuore dell’uomo, affinché ognuno fosse riconosciuto nella sua dignità”.
Tra i migranti annoveriamo anche il mondo nomade al quale la Chiesa riserva particolare attenzione anche con una propria pastorale. Qual è stato il rapporto tra Giovanni Paolo II e questo mondo? Come si è prodigato per contrastare i pregiudizi e per aiutare i credenti ad un maggior dialogo?
“Con messaggi espliciti e con la richiesta di un cambiamento di atteggiamento. Ha chiesto non soltanto rispetto ma accoglienza. Si è rivolto direttamente agli amministratori pubblici perché veramente tenessero conto delle esigenze degli zingari. E poi soprattutto il suo è stato un appello alle Chiese affinché fossero più accoglienti verso questo popolo”.
Come mai non ci fu nessuna udienza, nei lunghi anni del pontificato, con i rom?
“Io credo che ci siano stati dei brevi incontri con i rom nelle sue visite pastorali e viaggi apostolici. Di un incontro ne sono testimone anch’io: eravamo a Roma nel corso della sua visita alla parrocchia di Tor Bella Monaca. In quell’occasione ha incontrato un piccolo gruppo di rom bosniaci. Ma anche se non ci sono stati veri e propri incontri con il popolo rom, i messaggi per una loro maggiore accoglienza sono stati forti e importanti”.
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“Anche i rom possono essere evangelizzati e, nello stesso tempo, sono evangelizzatori. Oggi tra le popolazioni rom si contano diversi sacerdoti. Il popolo rom è molto religioso e vive la sua fede in tanti modi. Tra loro ci sono molti cristiani. Un martire rom è diventato il simbolo di un popolo”.
Quale lettura, alla luce anche dei recenti avvenimenti, possiamo dare dei messaggi che papa Giovanni Paolo II rivolgeva in occasione delle Giornate mondiali delle migrazioni?
“Risvegliare la coscienza di noi italiani ed europei perché realmente dobbiamo risvegliarci ad un’urgente solidarietà che ci chiedono tante persone che oggi, emigrando, fuggono da situazioni di grande povertà. Dobbiamo liberarci dalla paura che poi va unita ad un altro messaggio: tutto può cambiare. Non dobbiamo avere paura degli altri. Dobbiamo muovere le soluzioni e i cuori verso l’accoglienza e il rispetto degli altri, imparare da loro, dalla loro sofferenza, accoglierli”. (R. Iaria – SIR Italia)